Oliviero Toscani non voleva essere dimenticato e su questo possiamo dire che ha avuto successo

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lyonora via Flickr - flickr.com/photos/lyonora/

E’ morto Oliviero Toscani a 82 anni per una malattia rara: non se ne va solo un fotografo di fama internazionale, ma un artista della provocazione, un personaggio capace di dividere, infiammare e talvolta offendere con le sue parole e le sue immagini. Maestro della provocazione oltre che della fotografia, ha costruito una carriera sul confine sottile tra l’arte e la pubblicità, lasciando un’eredità che sarà ricordata tanto per il talento quanto per le polemiche.

Nessuno può negare che fosse un innovatore della comunicazione visiva. Le sue campagne per Benetton – il bacio tra un prete e una suora, i volti dei condannati a morte, il corpo anoressico di Isabelle Caro, la nave carica di migranti albanesi, il malato terminale di aids – hanno segnato un’epoca. Ma la domanda che ci si pone è se questo fosse solo arte o non piuttosto marketing travestito da impegno sociale. Toscani sapeva come catturare l’attenzione, ma il suo messaggio andava davvero oltre la superficie o si fermava al clamore?

Dietro il genio tecnico delle sue immagini, con colori vividi e composizioni impeccabili, spesso si intravedeva un certo compiacimento nel provocare. La sua fotografia era spettacolo, e questo gli va riconosciuto. Ma era anche un modo per far parlare di sé, oltre che dei temi che diceva di voler affrontare.

Non è solo per le immagini che resterà nella memoria, ma anche per le sue parole, spesso fuori luogo e volutamente urticanti. Celeberrime le sue dichiarazioni sul crollo del ponte Morandi e sui veneti: “Ma a chi interessa che caschi un ponte?” (gli costò la rottura con Benetton, il marchio che lui stesso aveva reso iconico), “I veneti sono solo un popolo di ubriaconi“, disse alla trasmissione radiofonica La Zanzara.

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Lascia dietro di sé un’eredità complessa, fatta di scatti iconici e di parole che hanno suscitato polemiche. Non è stato solo un fotografo: è stato un narratore visivo e un provocatore professionista, capace di far discutere come pochi. Amava definirsi un uomo libero, senza padroni: sarà stato vero? Ha usato la fotografia come uno strumento di potere e influenza, ma questa libertà aveva un costo. Non tutti i suoi lavori erano all’altezza della sua fama e molte delle sue campagne, pur geniali nella forma, si fermavano lì e mancavano di sostanza.

Nonostante questo, nessuno può negare l’impatto che ha avuto sulla comunicazione moderna. Ha capito prima di molti altri che l’immagine poteva diventare più potente della parola, che una fotografia poteva essere un manifesto, un grido, una denuncia. Eppure, quel gusto per la provocazione spesso lo ha reso più divisivo che costruttivo: il confine tra il genio e l’eccesso, tra l’impegno e il narcisismo, è stato spesso sottile.

Nel settembre scorso su La7, smagrito e provato dalla malattia, aveva detto: “la morte non mi spaventa, nessuno di ricorda di te quando non ci sei più“. Ma forse è proprio questo che Toscani in realtà voleva: non essere dimenticato, nel bene e nel male. E su questo possiamo dire che ha avuto successo.