Quando “la natura ama nascondersi” c’è tutto da guardare

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foto di Emanuele Beluffi e pubblicata sul suo profilo Instagram e si vede che l'ha fatta lui

La natura ama nascondersi” e mai detto fu più vero: i quadri di Mirko Baricchi da Federico Rui a Milano a cura di Domenico De Chirico non vanno visti ma guardati ed è la stessa operazione, mutatis mutandis, che si effettua quando leggiamo un libro o ascoltiamo un brano musicale senza essere al contempo impegnati a far la spesa: concentrazione, o meglio: consapevolezza, come ci insegna Dejanira Bada.

Questi rimandi vagamente sinestetici spiegano alla perfezione di che cosa ci si deve armare quando si ficcano gli occhi nelle 11 recenti opere di Baricchi e toglietevi la mano a bella posta sotto il mento, non fingete, non pensate a domande intelligenti, prendetevi 3 minuti per ogni quadro e leggetelo. Ognuno di essi è come una pagina di un libro, è scritto col linguaggio della pittura ed è narrativo senza raffigurare apparentemente niente. Ma la figura c’è, solo che è nascosta: non è un trucchetto “trovami trovami”, ma vi è che talvolta la pittura è una pratica difficile come la scrittura (e cosa disse il compianto Germano Celant a proposito del curare le mostre? Che è come scrivere un libro) e pertanto in questi quadri non c’è niente da vedere ma tutto da guardare. Non per niente, un altro critico, Matteo Marangoni, diceva: “Saper vedere”. E abbiam detto tutto.

I quadri di Baricchi, nuovi nuovi, sono astratti? Figurativi? Che noia queste domande, neanche da neofiti estensori di Artribune in cerca di visibilità: è la stessa differenza che il grande filosofo dell’arte (vabbeh, non solo lui) Arthur Danto poneva tra raffigurare e rappresentare, nel senso che se dipingo il volto del duca di Wellington raffiguro il duca di Wellington ma se voglio rappresentare la libertà dipingo il quadro di Delacroix, La libertà che guida il popolo (strano che ancora nessuno l’abbia usato per sostenere la controffensiva ucraina).

Mica facile la pittura e talvolta la contemplazione richiede impegno, sennò vai all’IKEA e ti prendi un poster da appendere in cucina.

Sì ma cosa c’è da vedere allora?, vi chiederete: il microcosmo, ecco cosa si vede. Il linguaggio “alieno” (per noi, troppo abituati a vedere e non a guardare) della natura. Cosa si nasconde dietro l’uomo?, forse la stessa trama narrativa della natura. E’ un linguaggio che parla il tessuto connettivo della natura, la sua intima essenza (visto che nel titolo si cita la filosofia, andiamo avanti così), il non visibile (per questo ama nascondersi, eppure è lì, ce l’abbiamo sotto gli occhi) che solo un linguaggio altro da quello verbale, il linguaggio della pittura appunto, riesce a rendere visibile e quindi raffigurabile (e quindi rappresentabile, dal concetto al sensibile e viceversa, andata e ritorno e non paghi il biglietto).

Un solo appunto: vedrete, sul film pittorico o a latere, delle sottili, quasi impercettibili, “strisce cromatiche di compensazione” (non so perché, mi vien da definirle così). Vanno cercate ma si vedono e non è che debbano anche esser guardate: divertissement dell’artista? capriccio?, libertà?, o forse che “Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia” (Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)? Chi lo sa, ma anche senza queste “strisce cromatiche di compensazione” le opere fatte e finite eran perfette lo stesso.