Pandemia e guerra: solo “svuotandoci” possiamo salvarci

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foto di emanuele beluffi, instagram

Senza consapevolezza siamo fottuti. Inutile usare giri di parole. Lo stiamo assaporando durante questo periodo di guerra in Ucraina, lo abbiamo visto durante due anni di pandemia, lo avremmo dovuto sapere tutte le volte che ha avuto inizio una qualunque guerra in una qualunque parte del mondo.

E invece eccoci qua, nuovamente alle prese con azioni che appaiono folli, insensate, violente, e che lo sono, perché ogni individuo che decide di iniziare una guerra non sta di certo bene.

Senza consapevolezza siamo fregati. Se non impariamo a guardarci dentro, a fermarci prima di agire, a cercare una via di ascolto, diplomatica, di riflessione e dialogo, di presa di coscienza di tutte le variabili, se non smetteremo di pensare solo a noi stessi e ai nostri interessi personali, non ci potrà mai essere una collettività degna di questo nome.

Come fare per sviluppare questa grande capacità che è la consapevolezza? Bisognerebbe iniziare a meditare, certo, a sedersi semplicemente in silenzio con se stessi, senza fare nulla, osservando l’andare e il venire di emozioni, sensazioni e pensieri. Entrare in contatto con il proprio inconscio, cuore, mente e corpo.

Ci sarebbe anche un’altra cosa da iniziare a fare, forse la più difficile: svuotarci.

Abbiamo passato tutta la nostra vita a studiare, leggere, formarci, informarci e continuiamo a farlo; è giusto, bello, importante, ma non se si arriva a un inutile livello di saturazione. Ci riempiamo di nozioni, immagini, parole, opinioni ma a un certo punto bisogna dare spazio al silenzio; è fondamentale interrompere i vecchi schemi, gli automatismi, togliere invece di aggiungere, scomporre, decostruire, lasciar andare, per permettere alla presenza mentale e alla consapevolezza di palesarsi e per essere in grado di cambiare punto di vista, di aprirsi al nuovo, a ciò che non eravamo in grado di vedere. Se continuiamo ad aggiungere anziché togliere, se riempiamo continuamente la nostra mente senza concederle mai una pausa, prenderanno il sopravvento soltanto pregiudizi, critiche, etichette, definizioni.

Proprio l’altro giorno, leggendo il libro “L’incertezza è Zen” del maestro Tetsugen Serra, ho trovato queste parole che descrivono perfettamente quello che sto cercando di illustrarvi:

“C’era un maestro zen di nome Nan-in. Un professore universitario curioso dello zen andò a fargli visita. Nan-in servì una tazza di tè. Mentre versava, la tazza del professore si riempì, ma Nan-in continuò a versare. Il professore guardava la tazza traboccare, e non riuscì più a trattenersi: «È troppo piena. Non entrerà più niente!». Nan-in disse: «Come la tazza, sei troppo pieno delle tue opinioni e speculazioni. Come posso mostrarti lo zen a meno che tu non svuoti prima la tua tazza?».

Proviamo a non aggrapparci ai nostri pensieri, a lasciar andare l’attaccamento che proviamo per certe nostre idee, perché spesso il rischio è di trasformarle in ideologie che poi creeranno soltanto ingiustizie e violenza. Solo così potremo entrare in contatto con quello che proviamo e siamo veramente. Solo così potremo tornare all’origine.

Per lanciarsi alla scoperta del proprio mondo interiore ci vuole coraggio, perché non sappiamo quello che troveremo. Ma solo così potremo dare una possibilità alla pace e alla convivenza serena tra i popoli. Vale la pena provare. Il cambiamento deve iniziare prima di tutto dentro di noi.