L’autoanalisi di Barbareschi

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Cercando segnali d’amore nell’universo è il titolo dello spettacolo di Luca Barbareschi che ha riaperto il teatro Eliseo di Roma. Un flusso di coscienza continuo tra racconti della sua vita, canzoni, monologhi, confessioni e balli caraibici. Ironico, nevrastenico, bipolare, una semplice etichetta non basta a contenerlo. Sappiamo di Barbareschi che è timido all’inizio, poi diventerà sciolto, elegante signore e ragazzino impunito, studente dell’Actor Studio, aiuto regista, produttore e traduttore; sul palco si smarrisce e si ritrova. In scena è croce e delizia: lo salvano la musica, le amicizie, i figli, l’amore per la moglie e per l’Eliseo che lui apre agli spettatori per questa intima seduta di psicanalisi.

Il pubblico si diverte molto. La figura irreprensibile del padre sui campi di sci, lo sguardo perso della mamma che tra una lettura e l’altra abbandonerà tutta la famiglia, le violenze subite da un sacerdote e poi un pianoforte, la magnifica band che lo accompagna e tanto ancora;  tutto sotto la guida registica di Chiara Noschese. La gente che esce dal teatro si domanda ancora una volta: ma chi è Barbareschi? Un egocentrico, un bravo attore, un cantante, un ballerino, un politico, un manager, un casanova? Lui è tutto questo solo per due ore: tra vita e nevrosi