Ho avuto il bene d’incontrare alcuni violinisti ebrei. Isaac Stern m’ascoltò suonare nella sua casa di New York, in duo col bravissimo Emil Chudnovsky, figlio della Nina Beilina grande allieva di David Oistrakh. Era intorno al 20 aprile 1993. Qualche giorno dopo, vincemmo a Buffalo la National Federation of Music Clubs Competition. Stern era una leggenda. Mi chiese d’eseguire qualcosa anche da solo e attaccai l’Improvviso in do minore di Schubert, convinto che non sarei arrivato alla decima battuta. Arrivai alla fine, invece, davanti a un mito che, non bastasse il resto, aveva vinto un Oscar (lo teneva sul camino, di fronte al pianoforte) per il documentario “Da Mao a Mozart”, dopo averne praticamente vinto un altro con la colonna sonora di John Williams de “Il violinista sul tetto”, da lui eseguita. Mi disse: “Bellissimo. Hai un futuro”. Uscito, camminavo volando e impiegai tutto Central Park per atterrare.
Ricordi. Che trascrivo per raccontare meglio Vera Vaidman. Nata a San Pietroburgo, studiò a Mosca (anche) con Oistrakh e a Gerusalemme con Stern. Suona da solista e in duo con Emanuel Krasovsky, suo marito, pianista superiore. Due volte è stata invitata al Festival di Marlboro da Rudolf Serkin, col quale s’è esibita quando, nella stessa sede, non affiancava un Andras Schiff. Sul podio, ha avuto pure Zubin Metha. L’ho ascoltata in una registrazione dal vivo, nell’incredibile trascrizione (edita da Carl Fischer) che Noam Sivan ha realizzato per violino solo della Sonata in si minore di Franz Liszt, capolavoro pianistico trascendentale. Trascrizione geniale e asperrima; tant’è che Sivan ne ha elaborata una più semplice, perché alcuni violinisti gli han fatto notare essere, questa, oltre l’eseguibile. La Vaidman ha deciso, al contrario, d’affrontarla. E fa strabuzzare orecchie e occhi la sua esecuzione, che a tal punto fronteggia un violinismo più che diabolico da far godere la pura musica dell’opera e dimenticare la sua natura di sovrumana trasposizione.
Ne ha tenuto la prima americana a New York il 26 marzo scorso (Sivan ha parlato di “occasione storica”) e l’ha rieseguita il 24 maggio a Tel Aviv. La ragione per cui lo so è semplice. Stante la guerra, ero preoccupato per il mio amico Krasovsky che vive con la famiglia a Tel Aviv. Gli ho scritto e lui ha risposto che “non sono tempi facili, ma continuiamo la normalità della nostra vita di musicisti”. M’invitava perciò, volendo parlar di musica, ad ascoltare in rete il video “interessante” d’un concerto di sua moglie Vera, appunto: quello del maggio scorso. Infine, m’abbracciava. La lettera d’un uomo che senza volerlo e senza mai evocarla, diceva comunque la grandezza del suo popolo. Avete presente il pubblico con le maschere antigas ad ascoltare proprio Stern? La sera del 23 febbraio 1991, a Gerusalemme, mentre l’allarme antimissili aveva costretto l’orchestra (diretta dallo stesso Metha della Vaidman) a fermarsi e uscire, il violinista, che poi raccontò a Chaim Potok ne “I miei primi 79 anni” (Garzanti) d’aver voluto soltanto portare “conforto attraverso la musica”, uscì sul palcoscenico da solo, e senza maschera, per suonare la Sarabanda dalla Partita in re minore di Bach. Ecco, avete presente tanto amore per la vita? Allora io sto con Israele. Sempre.