Manca poco. Alla fine del mese ci sarà la conferenza stampa, a metà del prossimo l’inaugurazione. Parliamo del Festival di Roma, un tempo Festa e spauracchio principe delle altre rassegne cinematografiche italiane, poi ex kolossal decaduto, infine di nuovo festival ormai di seconda fila. Con un direttore dal curriculum straordinario che prova a fare ciò che con il superbudget di un tempo (agli inizi si sfioravano i 20 milioni di euro) non era riuscito: entrare nel giro che conta.
Ma il Festival di Roma ha fatto il conto senza l’oste, gli altri clienti e pure i concorrenti. Per far crescere un’iniziativa di questo tipo servono anni, reputazione, linee editoriali solide e chiare, preferibilmente senza scossoni al comando. Niente di tutto questo è successo dalle parti dell’Auditorium di Renzo Piano e senzaWalter Veltroni – il vero direttore, fin quando fu sindaco – chi ha tenuto il timone l’ha dovuto fare nella bufera e con una stampa esigente fin da subito verso una rassegna subito “antipatica” per un budget monstre. E tutto senza copertura politica.
Lo sa bene Marco Muller, sceso a Roma per risolvere tutto e rinunciando a clamorose offerte di lavoro (Shangai su tutte). L’errore più grave fu accettare di insediarsi con l’assistenza muscolare di Renata Polverini e Gianni Alemanno che defenestrarono Piera Detassis senza alcun fair play, replicando il modello di sudditanza politica del festival, peccato originale dello stesso. Così si è trovato di fronte al peggior fallimento, forse, della sua carriera. E può Roma, ora, sopportare un’edizione con un timoniere partente e deluso? E’ il segreto di Pulcinella che l’ex direttore di Locarno e Venezia se ne andrà, forse per un clamoroso ritorno in Svizzera (lui così vorrebbe, ma Carlo Chatrian sta facendo un ottimo lavoro).
Tutto ciò mette il punto, forse definitivo, alla politica culturale del centrosinistra di un tempo, ora in chiara difficoltà: la Casa del Cinema non riesce a trovare un condottiero, con Caterina D’Amico di fatto dimissionaria ma riconfermata ogni tre mesi o quasi, della Casa del Jazz sappiamo poche notizie e quasi nessuna piacevole, il sistema dei Teatri fa acqua, non parliamo della festa della Fiction che sta entrando in un anonimato che solo il geniale Carlo Freccero può evitare. E chissà per quanto.
Roma sta perdendo le sue scommesse e il suo festival cinematografico è il centro pulsante di questo disagio. Si può davvero affrontare un momento cruciale con uno che ha già il biglietto di via in mano? Forse, ma si deve già pensare al futuro. Un futuro, peraltro, che sarebbe già in casa: Mario Sesti, con Extra (e CineMaxxi), ha dato alla rassegna le sue cose migliori, i suoi ospiti più inaspettati, il suo respiro più ampio, i suoi maggiori guizzi d’originalità. E’ lì dalla nascita del festival, potrebbe essere il fulcro di una rivoluzione a lungo termine. Una scelta così logica, quasi ovvia, che, essendo in Italia (e a Roma, in particolare), temiamo possa essere disattesa. Sarebbe la rovina.
Il futuro è adesso, ed è decisivo se si vuole il grande cinema a Roma. E non va aspettata la fine di ottobre per parlare chiaro. Già il 29, in conferenza stampa, si dovrebbe svelare il nome del nuovo direttore. E, appunto, speriamo sia la scelta più intelligente, razionale, conseguenziale. E finalmente senza alcuna invadenza politica (anche perché Ignazio Marino è più preoccupato dello stadio della Roma e Nicola Zingaretti il festival l’avrebbe chiuso il giorno dopo la sua elezione).