Pietro Geranzani a Palazzo Citterio: la guerra, quel grottesco teatro umano troppo umano

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Pietro Geranzani in mostra a Palazzo Citterio: “Anteguerra”, il grottesco come racconto del conflitto
Pietro Geranzani, Anteguerra. Avant-guerre. Pre-war. Vorkriegszeit, 2025, olio su tela, 170 x 250 cm

Lo avevamo visto l’ultima volta in occasione della sua personale in dialogo con le sculture  e parte della collezione di arte extraeuropea di Giancarlo Sangregorio nella omonima Fondazione a Sesto Calende sul Lago Maggiore, in un confronto serrato tra pittura e suggestioni ancestrali.

Oggi, nel pieno del centenario della nascita di Sangregorio, lo ritroviamo nella sua personale a Palazzo Citterio a Milano, in quella Grande Brera fortemente voluta dal neo direttore Angelo Crespi e che ospita, fra le collezioni Jesi e Vitali,  Boccioni, Carrà, Morandi, De Pisis, Modigliani e Marini, proprio una scultura di Sangregorio: chissà che effetto fa rivedersi non lontano dal grande scultore in un museo così importante.

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Lui è Pietro Geranzani e la mostra di cui stiamo parlando è la sua personale: Anteguerra. Avant-guerre. Pre-war. Vorkriegszeit (visitabile dal 26 giugno al 31 agosto), con un testo di Angelo Crespi e una traduzione del Qoelet di Davide Brullo.

Nato a Londra, cresciuto tra Germania e Svizzera, e attivo oggi a Milano, Geranzani ha esposto in contesti museali sia nazionali che internazionali e oggi la sua mostra coinvolge il pubblico in un’esperienza estetica ed emotiva dove si trova personaggio attivo.

In mostra tra grandi opere pittoriche di grande formato disposte secondo un ordinamento che “obbliga” l’occhio dello spettatore a seguire un percorso: potremmo definirle “gli orrori della guerra che tutto inghiotte in una grande voragine” e del resto il contesto internazionale ne è l’ampio e attualissimo palcoscenico, ma sbaglieremmo se dicessimo che Anteguerra. Avant-guerre. Pre-war. Vorkriegszeit di Pietro Geranzani è una “risposta” o un commento al presente storico.

Lo è, ma fino a un certo punto: le due opere in primo piano raffigurano un carnaio grottesco, fra corpi distorti e lacerati dalle ferite, bocche che si aprono come immani fauci bestiali piene di dentacci e sangue, un sanguaccio sporco e mefitico come la puzza della guerra, ma in un contesto grottesco: alle spalle della milizia disfatta tra quasi-zombie, scheletri e copri in via di estinzione, stanno i soggetti che , nella milizia, svolgono il ruolo apicale, ma sono quasi ridicoli.

E non lo sono per un vuoto quanto sciocco antimilitarismo, attenzione: essi indossano divise riconducibili grosso modo alla Prima Guerra Mondiale (che non a caso viene chiamata la Grande Guerra perché, come guerra, fu un macello al cubo), ma non sono esattamente quelle. Sono divise non riconducibili a un contesto storico specifico.

Come le divise, così le armi: ci sembra di vedere delle baionette o qualcosa di simile, ma anche della armi farlocche.

Il tutto, mentre fuori, sopra le teste del carnaio, piove fitto fitto nella classica notte buia e tempestosa: la pioggia come lavacro? Forse, ma più probabile che l’intervento meteo sia soprattutto un intervento grottesco, perché fra elmetti e armi e corpi straziati vediamo…degli ombrelli e anche un ombrellino, tipo quello che ti mettono nel gelato d’estate quando sei in gita con l’amante o la fidanzata.

Anteguerra. Avant-guerre. Pre-war. Vorkriegszeit è metafisica, bellezza, come i mobili sul fiume e i manichini in piazza e tu non puoi farci niente, mentre dietro ai due dipinti in primo piano vediamo il terzo, un campo dove forse prima c’è stata una diabolica battaglia e ora un’enorme e nera e buia voragine, fra il verde del prato ma senza animaletti e fiorellini e il blu dipinto di blu del cielo, che in realtà si veste con delle striature di tramonto rosso e arancio molto riposante.

Nella mostra, segue (o precede?) un muro di disegni di Geranzani di piccolo formato, inframmezzati dalla traduzione del Qoelet di Davide Brullo, di cui riportiamo qui l’estratto da Qo 3, 19-21:

Stessa sorte pareggia
bestia e uomo – stessa
morte per entrambi
stessa fattura di fiato
non c’è differenza
tra uomo e bestia
un nulla

Tutto va nello stesso luogo
dalla polvere nasce
alla polvere torna

Chissà se lo spirito ascende
se la bestia sprofonda

Ma, come scrive Angelo Crespi, “Non c’è [però] nessun intento pedagogico o didascalico, nessun moralismo a raffigurare la guerra di corpi stracciati e vilipesi […]. Non c’è moralismo in Geranzani, né intento di significare che la guerra è orrenda, ed è questa — a mio parere — la grandezza del trittico che si pone nel vuoto dello spazio di Palazzo Citterio come una semplice raffigurazione, seppur macabra (non un monito) di quella che è la nostra storia“.