Emanuele Alfieri, nato nel 1980 a Milano, artista multidisciplinare sperimentatore di nuove tecniche e linguaggi, pratica azioni live e performance connesse ai graffiti, sculture, interessato a 3D motion graphics e tecnologia VR e AR, si racconta nel suo atelier nel cuore del Giambellino.
Sei conosciuto come Impossibile, perché questo nome?
Nel mondo dei graffiti metropolitani mi firmo con il nome di Impo 1 della CREW milanese BN, scelto nel 1996. Nel 2009 ho adottato Impossible, un nuovo alter ego connesso all’arte tecnologica che più caratterizza la mia esplorazione e ricerca dell’ignoto, attraverso metodologie artistiche pionieristiche e tematiche innovative, appunto “impossibili”.
Cosa significa per te essere figlio d’arte e condividere ricerche con tuo padre Nino Alfieri, tra i più noti protagonisti della Light Art italiana?
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Sono letteralmente “nato” nel laboratorio d’arte della mia famiglia, fin dalla giovane età ho assistito alla progressione del lavoro artistico di ricerca di mia madre insieme a mio padre. Dopo il liceo artistico e l’Accademia di Brera, parallelamente a molte mie esperienze espositive e performative, poi intrapreso il mio percorso artistico poliedrico. C’è una concreta condivisione e collaborazione di progetti e attitudini con mio padre Nino, un costante dialogo e tanto lavoro “artigianale” in bottega, basato sulla contaminazione di generi, lo studio, l’analisi , contenuti e tematiche. Sono attratto dall’applicazione di speciali tecniche di forte impatto emozionale, trasformo l’esperienza in opera d’arte. Con mio padre condivido una poetica di tensione spirituale integrata alle nuove tecnologie. Nel nostro atelier si vive come in una moderna bottega rinascimentale, dove tutto è progetto.
Come riesci a contaminare pittura, writing, murali, performance live in strada e la scultura plastica e video motion 3D interattiva?
Mi è sempre piaciuto esplorare varie tecniche e diversi ambienti di produzione e divulgazione del mio lavoro.
Fa tutto parte della mia ricerca sempre in evoluzione basata sulla scelta del media più adatto per dare forma a immagini oniriche dalle atmosfere suggestive, in questo caso prediligo la pittura, ancor più veloce se utilizzo dei colori spray, quando agisco sui muri per la grandezza della superficie. Per gli interventi murali che poi ho trasportato su tela miniaturizzando questa tecnica. Quando il soggetto immaginato deve essere esplorato e fatto fruire nella sua tridimensionalità, allora utilizzo la scultura in varie dimensioni e materiali. Per gli effetti dinamici, atmosferici e tridimensionali sperimento le nuove tecnologie. Pratico un “metodo esplorativo” , formato da diversi linguaggi, con grammatiche complementari che mi permettono la poliedricità e la fusione multidisciplinare nell’elaborazione del progetto. La performance live è molto coinvolgente, un’ attrattiva che permette a chi guarda di seguire dal vivo il work in progress e sentirsi parte dell’esperienza.
La tua Spray Art come si distingue dalla Street art? E come si è sviluppata nei lavori più recenti?
Si avvale delle specifiche dell’Areosol Art cioè l’utilizzo di qualsiasi tecnica di spruzzo del colore dall’aerografo miniaturizzato al getto di compressore da esterni, ma la Spray Art nella bomboletta di colore spray si distingue per praticità, versatilità e incredibile velocità applicativa. Ha bisogno di molta tecnica per avere risultati esaltanti, in 29 anni di utilizzo ne ho passati 7 circa a fare solo tecnica pura e implementando la miniaturizzazione della linea, del segno e la tecnica della pigmentazione. La Street Art, gemmazione dell’arte urbana, è così libera e sdoganata che offre l’opportunità a chiunque voglia cimentarsi nella produzione pittorica su grandi superfici (senza le regole dell’Areosol Writing Graffiti) e una buona applicazione trasversale con poster, stencil, mosaici, e tanto altro!
Sei noto per live painting sorprendenti, sei scenografo, curatore di eventi in showroom, fiere e teatri, ma il tuo palcoscenico ideale resta la strada, perché?
La strada e i luoghi insoliti restano per l’arte, diventano display perfetti per nuovi sviluppi, stimoli e contaminazioni, rendo le diverse discipline complementari. Successivamente quel che si è elaborato in questo palcoscenico imprevedibile ma ideale, può essere ritrasportato in luoghi canonici dell’arte con risultati sorprendenti.
Paesaggi urbani e metropoli oniriche e distopiche: perché non hai mai abbandonato la figurazione?
La figurazione mi ha sempre affascinato, come la composizione con soggetti riconoscibili sono un allenamento necessario, mirando alla successiva sintesi nell’astratto che sarà la risultante di una frammentazione, in sincrono in un caos frattalico ragionato ed istintivo del medesimo gesto.
Cos’è per te la periferia?
La periferia è da sempre stata la mia ‘tela’ tridimensionale, una parte delle metropoli dall’identità plurima, grazie agli abitanti di diversa cultura e sociale. E’ un laboratorio di idee dove sperimentare nuovi linguaggi di arte pubblica anche inclusiva, cambiando percezione e prospettive di questo luogo.
Sei andato a Londra a Frieze Art Fair, dove tra gli stand ti sei esibito in performance multimediali: cosa hai combinato e quali sono state le reazioni del pubblico?
Siamo andati a Londra a visitare questa importante fiera con il progetto del nuovo ecosistema dell’arte Artistinct.com e l’ho trovata di qualità, per quanto “classica e tradizionale”, con poco spazio dato ai media tecnologici e alle innovazioni sperimentali. A Frieze ho agito creando soggetti e “dipingendo tridimensionalmente” in modalità immateriale con un VR Gear. Agire in un ambiente fieristico trasformato in un palcoscenico del mio lavoro virtuale, puntando su parentesi performative tra gli stands e davanti all’entrata ufficiale ha incuriosito il pubblico, ha incuriosito i galleristi e addetti ai lavori che mi filmavano e fotografavano, essendo ancora ignari delle potenzialità di questi nuovi strumenti. Non avevano mai visto, né previsto questa nuova applicazione in ambito fieristico come strumento da intrattenimento. Ha funzionato! . Ho creato la mia arte multimediale senza i confini di uno studio e luogo di produzione fisico sfruttando l’occasione mondana di questa fiera internazionale.
Stai preparando una mostra collettiva a Miami, cosa esporrai?
Esporrò una serie sperimentale originata nel 2008 dal nome Digital Dripping che riprende il metodo compositivo di Jackson Pollock attualizzato con l’uso del digitale. L’incrocio di più software 2D e 3D porta alla creazione di una tecnica in cui i “dripping” sono forme e soggetti di senso compiuto in un composto frattalico non geometrico. Un linguaggio tecno-istintivo basato sulla pittura digitale selvaggia che esplora tematiche individuate in vari stratificazioni inconsce del genere umano, tecnica sviluppata dal 2008 ad oggi in un variegato discorso critico, quesiti ed evocazioni .
Cosa pensi dell’Intelligenza Artificiale?
È un valido strumento a disposizione, democratico e potente. Permette a chi lo studia per utilizzarlo con dimestichezza di ottenere dei risultati (in tutti i campi della sua applicazione) risparmiando molto tempo. Allo stesso tempo può minimizzare delle professionalità e all’opposto amplificare di molto la produzione e la portata della creatività e in tantissimi diversi settori. L’automazione totale non è la via, ma l’utilizzo come strumento innovativo di supporto nella vita dell’uomo è paragonabile alla scoperta della ruota. In campo artistico può essere uno strumento stupefacente, come anche una banalità di un fare creativo senza un vero controllo che si accontenta del mero effetto. È uno strumento da utilizzare con Intelligenza Artigianale, tutto da esplorare.