“Il guaio della mia vita è che sono sempre stato un lupo solitario, magari spelacchiato e oggi vecchio e bavoso, ma senza guinzaglio“: così Lucio Colletti a Mariacristina Masi nel libro “Senza guinzaglio” (Webmasterpress, 1996), oggi conservato nella Biblioteca Nilde Iotti della Camera dei Deputati, che nel 2015 ha acquisito per donazione il Fondo Colletti di circa 5.200 volumi.
Lucio Colletti ci ha lasciati esattamente 23 anni fa oggi. “Ironico, scettico, caustico e potremmo continuare con aggettivi consimili“, con queste parole nel 2021 Piero Melograni lo aveva commemorato alla Camera dei Deputati in occasione dell’anniversario della morte: parole perfette per uno che fu un pensatore OFF a tutti gli effetti.
Fu con Marcello Pera e Saverio Vertone tra i filosofi del Cav: nel 1996 aveva infatti accettato la proposta di un seggio alla Camera, ma da indipendente, ultimo passaggio di un percorso iniziato nel 1963 quando aveva mollato il PCI per entrare poi in orbita PSI.
Celeberrima la sua “Intervista politico-filosofica”, pubblicata da Laterza nel 1975 come traduzione dell’originale in inglese apparsa un anno prima sul numero di luglio della New Left Review, che ebbe un impatto significativo (in negativo) sulla sua carriera accademica: la pubblicazione dell’intervista del giornalista inglese Perry Anderson a Colletti segnò in Italia un momento di forte rottura con l’ortodossia marxista cui era stato legato. In essa, Colletti esprimeva una critica radicale del marxismo tradizionale e rivelava una crescente disillusione sia verso le interpretazioni ufficiali della filosofia marxiana che verso il PCI.
Ricevette anche minacce di morte con l’accusa di essere “un revisionista al servizio dei padroni“. Del resto già dal 1956 rischiò di far la stessa fine dei dissidenti in URSS, quando firmò un appello contro l’invasione sovietica di Budapest.
Eppure fu con ogni proabbilità il più acuto studioso di Marx, al quale non giunse passando per Gramsci ma attraverso la lettura di “Materialismo ed empiriocriticismo” di Lenin e la filosofia eretica di Galvano Della Volpe.
Lui, unico fra gli studiosi di Marx, ne colse la fallacia, puramente filosofica sì, ma dagli effetti devastanti sul piano pratico della dottrina, che confondeva le contraddizione dialettica con le opposizioni reali. E questo bastò a far cadere un intero edificio, con le conseguenze che sarebbero state testimoniate dalla sua vita intellettuale.
Fu un grande sostenitore dell’impresa scientifica, un inguaribile scettico e negli anni Novanta insieme a pochi altri iniziò a introdurre in Italia quell’area filosofica di tradizione analitica, marcatamente anglosassone e americana, che qui ancora riceveva gli influssi della filosofia di Croce (su cui proprio Colletti si laureò).
Uno dei suoi pregi era il sapersi far leggere, fra saggi pubblicati da prestigiose case editrici (scrisse pochi libri ma imprescindibili, fra cui “Il marxismo e Hegel”, “Ideologia e società” e “Intervista politico-filosofica”, un caso editoriale con numerose traduzioni all’estero) e articoli pubblicati su quotidiani e riviste nazionali.
Aveva quel dono raro tra i professori di scrivere cose “difficili” senza annoiare: basti pensare a quell’articolo, pubblicato su Panorama (e ripubblicato poi da Ideazione in “Fine della filosofia e altri saggi”), in cui ci serviva sul piatto una straordinaria coincidenza di vedute tra due filosofi che più diversi non potevano essere, Lenin e Popper.
Se da un lato le pagine dei settimanali e dei giornali lo resero popolare fra i lettori còlti, lui non lo divenne nei circoli che contano: la sua libertà d’azione e di pensiero lo isolò dai proprietari delle casematte della cultura italiana.
Poco prima che se ne andasse all’improvviso, alcuni settimanali pubblicarono una sua foto coi capelli sorprendentemente biondi (aveva più di 70 anni): quel giorno, anziché lo shampoo, s’era per sbaglio messo sulla testa la lozione della moglie e il risultato fu un Colletti “pop”.
Morì durante una nuotata nel laghetto delle acque termali a Venturina in provincia di Livorno.