A Villa Clerici tutti i colori del sacro

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A Villa Clerici tutti i colori del sacro
Enrica Berselli, Pharmakopita, 2024, Olio su tavola, 30,4 per 200 cm in due parti, dettaglio2

Si è perso il senso del sacro? Oppure il sacro, il percepire di trovarsi al cospetto di un qualcosa di più grande e di un mistero che permea la nostra vita, oggi si cela in forme diverse da quelle alle quali siamo abituati da secoli? Invita alla riflessione su questo tema Innesti 24, la mostra dialogica e collettiva allestita e voluta dalla Galleria di Arte Sacra dei Contemporanei (GASC) con sede in Villa Clerici a Milano, curata da Luigi Codemo e frutto della collaborazione con isorropia homegallery (associazione culturale no profit).

Dal 26 settembre fino al 20 ottobre 2024, sono esposte nella sale della più importante raccolta museale di arte sacra del Novecento le opere di quattro giovani artisti che si confrontano con la propria sensibilità ed interiorità con il tema del sacro: Enrica Berselli (Modena, 1984), Chiara Capellini (Milano, 1981), Andrea Luzi (Ancona , 1997) e Vittorio Zeppillo (San Severino nelle Marche, 1998).

Ciascun artista espone due lavori inediti, in dialogo con alcune opere della ricca collezione permanente della GASC (oltre tremila, fra dipinti, sculture, disegni, ceramiche, vetrate, mosaici ) e che comprende artisti dalla prima metà del Novecento ad oggi, come Francesco Messina, Kengiro Azuma, Mosè Bianchi, Floriano Bodini, Felice Carena, Felice Casorati, Davide Coltro, Silvio Consadori, Giorgio De Chirico, Michele Dolz, Gerardo Dottori, Giacomo Manzù, Ettore Scorzelli, Gino Severini, Elvis Spadoni, Annamaria Trevisan, William Xerra, Giuseppe Zigaina e molti altri.

“La scelta del titolo richiama l’idea di connessioni nuove e vitali, innesti appunto, tra l’arte del presente e quella del passato. Un incontro tra tradizione e innovazione, dove il sacro si manifesta come un’esperienza di fascino o di timore “, racconta Luigi Codemo. “La scelta delle opere, tutti quadri esposti per la prima volta, ha l’obiettivo di far risuonare l’emergere di modalità diverse di percepire, teorizzare e dare corpo all’esperienza del sacro”.

Quattro diverse sfaccettature del sacro

Interrogata su quale potrebbe essere una rappresentazione più esplicita del sacro oggi nella società odierna, Chiara Cappellini propone due monocromi, due acrilici su tela, uno verde, l’altro nero, di grandi dimensioni, quattro metri per due, che portano entrambi lo stesso titolo: Noghtinness, che in inglese vuole dire vuoto. Dopo essersi diplomata alla Naba di Milano e alla Rhode Island School of Design a Providence in America, l’artista milanese inizia il suo percorso artistico da freelance come illustratrice, grafica e art director. La ricerca artistica sul concetto di vuoto esplode, racconta, con l’incontro a Beaune, in Francia, con John Ellis, fisico teorico del King’s College di Londra e del CERN., ii “padre” dell’esperimento scientifico più avanzato mai effettuato: la conoscenza delle più piccole particelle di materia che stanno alla base delle forze che hanno dato origine all’Universo. Racconta entusiasta Capellini: “Sono sempre stata affascinata dall’invisibile, da una realtà altra diversa da quella che i nostri sensi ci permettono di sperimentare. Sappiamo che il mondo è pieno di sostanze che le mani non possono toccare o afferrare, di organismi microscopici che i nostri occhi non possono vedere, di fenomeni presenti attorno a noi, ma che restano invisibili. Miliardi stelle, di pianeti, di galassie. Mondi sparsi in quel grande contenitore chiamato cosmo, o se preferite Universo. Perché c’è qualcosa invece del nulla? Di che cosa è fatto il vuoto?. La teoria quantistica ci rivela che nello spazio cosmico non c’è uno stato di vuoto assoluto, ovvero non c’è il nulla, ma anche nel vuoto è sempre presente qualcosa, fluttuazioni quanto-meccaniche ,un ribollire di coppie di particelle virtuali che nascono e si annichilano in continuazione”. Partendo dalle suggestioni della fisica quantistica sul concetto di vuoto, nascono così i due monocromi sul concetto di vuoto. L’artista assimila lo stesso gesto pittorico, che si focalizza su azioni come il mettere e togliere colore, alla danza delle particelle quantiche e la scelta di dipingere opere che all’apparenza possono rappresentare “il vuoto ” invita ad interrogarci sul mistero dell’Universo. Non solo. Le due opere sono collocate in due stanze diverse ma parlano fra loro a distanza, assicura Chiara Cappellini. A spiegarlo è ancora la fisica quantistica, con l’entanglement (che in italiano traduciamo come “intreccio”). Uno dei fenomeni più misteriosi, e tuttora sostanzialmente inspiegati, inspiegabili che regolano l’Universo. “Oggi i fisici quantistici hanno scoperto una straordinaria capacità delle particelle quantiche, quasi magica: quella di influenzarsi istantaneamente a vicenda, anche a distanza, presentando un legame che va al di là del tempo e dello spazio”.

Andrea Luzi, un artista visivo con un background variegato, nel writing e nella musica, presenta due lavori: Se la vita ti sorride ha una paresi, un olio e vernice spray su tela dall’esplicita intenzione ironica e provocatoria e La grandezza del nulla pt.2, un polittico in olio e colore per vetro su lino in una cornice in legno. È una visione distopica, allucinata e dai toni drammatici, quella che si apre ai nostri occhi: mondi visionari e cupi, figure contorte, di ardua decifrazione, in cui disordine, paura e angoscia regnano sovrani. In cui cogliamo un senso di vertigine e di spaesamento simile a quelle delle nostre vite, generato dalla nostra dall’incapacità di progettare nuovi futuri di pace e rispetto per il pianeta terra. Una sorta di attualizzazione del bestiario dei demoni dipinti da Hieronymus Bosch, figure grottesche. angeli trasformati in insetti e teschi spaventosi, pesci che hanno abbandonato l’acqua per vivere sulla terra, esseri umani con le schiene inarcate dallo sfinimento, avvolti dalle fiamme. dell’Infermo.

Vedere il mio lavoro esposto nelle splendide sale di Villa Clerici accanto a grandi artisti del passato mi emoziona“, racconta Vittorio Zeppillo, giovane artista multidisciplinare marchigiano che oggi vive e lavora a Milano. “Fino ai vent’anni ho militato in ristoranti di alta cucina, di arte contemporanea non ne sapevo proprio nulla, ma amavo creare piatti pensando alle cromie e alle provenienze dei prodotti. Poi ho iniziato a sperimentare direttamente con la pittura e ha studiato decorazione all’Accademia di Belle Arti di Urbino“. Per l’esposizione a Villa Clerici presenta due oli su tela, La Caduta e Il Gambetto danese in dialogo di presenze e sguardi con la scultura di un Cristo esausto a terra. Quasi a ravvisare ,fra pennellate concitate e secco- pastose , una visione onirica (il desiderio?) di una nuova grande “sacralità” che sta ridestandosi in modo spasmodico. Forse nel mondo, ma sicuramente rimanda a una parte profondamente personale dell’artista.

ll corpo come territorio del sacro. Non lascia indifferenti il lavoro di Enrica Berselli, laurea con lode in Lettere Moderne a Bologna e in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, con una tesi sulla ritualità iniziatica e funebre nell’arte contemporanea. Espone per la prima volta l’opera Pharmakopita, un olio su tavola che nasce da una ossessione (cosi la definisce la stessa artista) per Il corpo di Cristo morto nella tomba, una delle opere più famose di Hans Holbein il Giovane (dipinto nel 1522). “Feci anche un viaggio anzi un pellegrinaggio a Basilea, per vederlo al Kunstmuseum dove è conservata la tela. Il duro realismo di quel corpo a grandezza naturale, emaciato, sofferente, con tutti i segni della morte addosso, a partire dalle dita già livide, l’espressione terribile del volto, i capelli rigidi, le ferite nella carne secca, le mani rattrappite, continua a tormentarmi e ancora mi sconvolge”. Il dipinto di Berselli è un accumulo di simbolismi e si ammanta di nuovi oscuri significati (“ma non li dirò”) spunta anche una chiave, gli occhi sono coperti dalla maschera da falconiere. “Ho usato lo stesso legno di tiglio del dipinto di Holbein, uguali anche le dimensioni (30.5 cm x 200 cm, n.d.r.) , però ho sentito subito che doveva essere tagliato a metà“, lasciandone aperto il simbolismo di questa scelta. Il dittico, espressione tradizionale di arte sacra, vuole mostrare con evidenza il legame con il senso del sacro? Oppure simboleggiare la scissione fra corporeità e spiritualità, istinto e ragione? E forse, perché no, “è anche la donna tagliata in due nella scatola dell’illusionista“, provoca divertita l’artista. La seconda opera esposta dall’artista modenese è Guyon o della Mano Benedicente scultura in cera vergine d’api, pigmenti, ferro. “Prende il nome, ci spiega Berselli, dalla sindrome del canale di Guyon, un tipo di neuropatia che obbliga le ultime due dita della mano a stare aderenti al palmo in una posa che ricorda il gesto della mano benedicente. L’opera si colloca in quella zona grigia fra scienza e fede, mostrando come il corpo può essere trasformato in burattino da una concreta lesione dei nervi, fili tesi invisibili, conseguendo la fissità di una posizione a cui molti attribuiscono significati ulteriori, così come alle lacerazioni interpretate come stigmate e al sangue versato attraverso stratagemmi da ciarlatani“. La perpetua mutazione dei corpi attraverso la pelle, luogo simbolico di comunicazione fra ciò che è interno e invisibile e il mondo esterno.