Marta Cagnola: “coi Musicarelli racconto l’Italia del boom”

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Il manifesto di un celebre "Musicarello": "I ragazzi del juke box" (reg. Lucio Fulci, 1959)

Musicarelli, L’Italia degli anni ’60 nei film musicali, è il nuovo libro scritto da Marta Cagnola e Simone Fattori (ed. Volo Libero) che in 264 pagine racconta uno dei fenomeni italiani più amati e romantici. Se i “Musicarelli” – quei film leggeri, incentrati su un cantante pop e sul suo album più recente – creano tanta nostalgia anche in chi non li ha vissuti in diretta, è perché l’atmosfera di quei film è proprio quella spensierata degli anni ’60 con tutte le canzoni che hanno caratterizzato un’epoca e un intero Paese.

Marta Cagnola

Giusto guardare al futuro ma se, come diceva Seneca, il passato è l’unica dimensione temporale che ci appartiene davvero, è giusto non vergognarci a sbirciare anche indietro. Specie se vi troviamo la nostra cultura, da cui possiamo sempre trarre insegnamenti. Ne abbiamo parlato proprio con Marta Cagnola, voce nota della radio e spesso commentatrice televisiva a Tv Talk su Raitre. Il suo libro, scritto con Simone Fattori, è un autentico manuale da consultare, con tanto di schede complete per ogni Musicarello e descrizioni sociologiche di un Paese in continua trasformazione durante gli anni del boom economico. Alla faccia di chi sostiene non sia vero che nelle canzoni troviamo la storia di una società.


Marta, essendo tu ben più giovane dei Musicarelli, si intuisce che la tua sia una pura passione per quelle canzoni e un certo modo di fare spettacolo.

Sono una bambina degli anni ’80: già da piccola, però, vedevo i revival degli anni ’60. In quell’epoca nascevano le tv private che, dovendo riempire numerose ore di trasmissione, al mattino mandavano in onda i film più vecchi. Questa consuetudine ha segnato più di una generazione: così i Musicarelli sono diventati il ricordo delle estati del passato anche per chi non li ha vissuti “in diretta”.

E nel frattempo ci hanno raccontato un’epoca ben precisa.

Certo, un po’ con l’effetto “Sapore di mare”: vedi negli anni ’80 una storia ambientata negli anni ’60. Le trame erano storie semplicissime, ma se si guardano quelle pellicole analiticamente in ordine cronologico, si ha una riprova dell’evoluzione che arrivava nella società. Io, per esempio, sono innamorata dei cambiamenti che emergono della figura femminile. Nei primi Musicarelli, le ragazze erano le eterne fidanzatine che sopportavano ogni tipo di corna con grande pazienza. Quando arrivano Caterina Caselli e Rita Pavone cambia tutto. Per non parlare di Romina Power: donna americana completamente moderna, che diventa persino una guida della storia.

Che ruolo aveva la censura?

C’era inevitabilmente, non solo perché in quell’epoca vigeva ovunque. Anzitutto si trattava di un divertimento popolare che doveva andare bene a ogni generazione. Inoltre cominciavano nei cinema di prima visione e andavano avanti per anni finendo nelle sale parrocchiali. Dovevano quindi superare ogni tipo di censura: per questo erano super puliti e con finali lieti. Ma è stata proprio la leggerezza di quelle trame a farci amare ancora di più certi film, che guardiamo ancora con nostalgia.

Li avete dovuti riguardare tutti?

Più di una volta: il lavoro di ricerca è iniziato anni fa, ben prima che esplodesse il successo delle piattaforme, quando era più difficile risalire a questi film. Li abbiamo visti, quindi, per schedarli, già con l’idea di costruirne un libro a suo modo sociologico, che analizzasse l’Italia attraverso quelle pellicole, riportandone anche le battute. La scorsa estate me li sono riguardati un’altra volta: sono quasi arrivata alla conoscenza a memoria.

Avete trovato battute che il politically correct di oggi cancellerebbe?

Altroché. Ci siamo interrogati se e come fosse corretto riportare certe parole che oggi sono giustamente impronunciabili. Abbiamo però deciso di non censurarle e di riportarle proprio come erano state espresse negli anni ’60, rispettando la “scientificità” del nostro progetto. È il contesto storico a giustificare il senso originario. Certo, la distanza del tempo fornisce sempre qualche significato in più: le epoche si possono comprendere completamente solo in prospettiva.

Il tuo Musicarello del cuore?

Faccio fatica ad averne uno solo, ma sono molto affezionata soprattutto a quelli balneari, che fotografavano il modo di andare in vacanza in quegli anni, con spensieratezza. I miei protagonisti preferiti restano Little Tony e Tony Renis: latin lover che mi facevano impazzire.

Come avete determinato la categorizzazione dei film in Musicarelli?

La scelta è chiaramente arbitraria: siamo partiti dal 1957 di Lazzarella, che abbiamo interpretato come protomusiscarello perché il titolo è quello della canzone da cui prende spunto la storia. Siamo arrivati fino al 1971 con Piange il telefono, dove si vede l’immagine di una donna completamente libera. Così ci siamo presi il vezzo di aprire e chiudere con Modugno. È tuttavia possibile che se ne possano scovare altri più sconosciuti e che quindi si debba aggiornare in seguito questa raccolta.

Possiamo dire che i Musicarelli sono un tratto identitario della cultura italiana?

Decisamente. Il film musicale è internazionale e lo abbiamo visto nell’operetta come nei film con Elvis o i Beatles, però quel modo di produrre in serie un format così preciso è tutto italiano. I primi Musicarelli raccontavano la ripresa dell’Italia dopo la guerra. Lo stesso nome trova la sua derivazione nella parola Carosello, da cui mutua l’assonanza. Non a caso in quei film spesso c’erano gli stessi attori comici e familiari al pubblico dei Caroselli. Inoltre si ritrova l’idea del fotoromanzo, altra caratteristica tipicamente italiana. Il Musicarello è una bellissima invenzione che possiamo rivendicare.

Li si potrebbero riproporre coi cantanti di oggi?

Sarebbe molto divertente vedere come se la caverebbero: ora sono autentici performer e la loro esibizione non è più solo canora, quindi penso sarebbero perfettamente in grado. Immaginiamo come possa essere un musicarello di Tuta gold: credo avrebbe un’ottima riuscita. Va considerata tuttavia, una difficoltà in più per il pubblico di oggi: la soglia dell’attenzione è incredibilmente bassa, i ragazzi fanno fatica a reggere la durata di un intero film. Io però sarei curiosissima di vedere il risultato, guardando anche al successo sempre più dilagante dei videoclip, divenuti dei veri e propri microfilm.

In tutto questo vedremmo ancora Gianni Morandi, anche nel 2024.

Certo! Gianni Morandi sarebbe l’elemento di continuità! Non interpreterebbe più il giovane innamorato, ma il vicino di casa simpatico o il suocero sprint…

Da anni sei la voce che racconta lo spettacolo ai radioascoltatori e non solo. Dove ti vedremo l’anno prossimo?

Vado avanti con Radio Tube che negli anni è evoluto con tutti i cambiamenti della realtà, regalandoci enormi soddisfazioni. E poi continuerò a occuparmi di eventi live con Il Sole 24 ore e vorrei riprendere il podcast su come nascono le canzoni. Sarà un’altra bella stagione impegnativa con questo lavoro che amo!