In sala dal prossimo 7 aprile, con BIM Distribuzione, il film La figlia Oscura – tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante e presentato in occasione della 78° edizione del Festival Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – che segna l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, la quale ne firma anche la sceneggiatura. Un’opera candidata a 3 premi Oscar: Migliore sceneggiatura non originale, migliore attrice protagonista (Olivia Colman) e migliore attrice non protagonista (Jessie Buckley).
Il romanzo della Ferrante, edito nel 2015 da Edizioni e/o (160pp, 9,40Euro) aveva colpito per l’abilità dell’autrice di rappresentare la difficoltà di essere madre. Leda è la protagonista, nel romanzo, un’insegnante di inglese di 48 anni di origini napoletane che vive a Firenze. Divorziata da anni e madre di due figlie: Bianca, di 25 anni e Marta di 22. Quando le figlie decidono di seguire il padre in Canada, Leda, sentendosi liberata, ne approfitta per concedersi una vacanza sulla costa ionica. Ma è proprio sulla spiaggia che l’incontro con Nina, una giovane madre di appena 23 anni e della sua piccola Elena, di quattro, legate da un rapporto che lei giudica perfetto – nonostante la presenza ingombrante della chiassosa famiglia partenopea dedita al malaffare – a riaprire le ferite del passato.
L’invidia nei confronti di questo rapporto la porta a commettere il furto di Neni, la bambola di Elena. La perdita della bambola riuscirà così a rompere l’idillio, tanto che la piccola Elena subirà una regressione con evidenti conseguenze anche sulla psiche di Nina che si troverà, esausta, tormentata dall’ambivalenza dell’amore per sé stessa e quello per sua figlia. Forse, la stessa ambivalenza che dovette affrontare Leda, quando le sue figlie avevano rispettivamente 6 e 4 anni, decidendo di abbandonarle per tre anni alla ricerca dell’affermazione personale, e di quei sogni che sembravano sempre più evanescenti dopo la maternità.
La protagonista del film è interpretata da una bravissima Olivia Colman, che incarna un personaggio molto complesso: l’attrice veste i panni di una donna tormentata, in bilico tra passato e presente, divorata dai sensi di colpa per non essere stata in grado di essere una madre migliore. Olivia Colman riesce ad essere sempre in parte, incarnando una donna verso la quale difficilmente si riesce a provare empatia; Leda è fredda, distaccata, emotivamente arida, quasi i sensi di colpa le avessero prosciugato qualsiasi residuo di felicità. Continui flashback rimandano al passato di Leda – impersonata da una strepitosa Jessie Buckley – e al difficile rapporto con le sue bambine. Per quanto l’interpretazione delle attrici comprimarie – a far da contraltare alla Colman-Buckley è una bellissima Dakota Johnson nei panni di Nina – il film appare minimalista nella sua sceneggiatura e caratterizzato da un incedere lento. Chi non conosce la storia di Leda – raccontata egregiamente da Elena Ferrante – mancherà di cogliere degli aspetti simbolici, tra cui il serpente e il verme, che nell’opera della Gyllenhaal vengono soltanto mostrati. Un film che sottolinea – in maniera abbastanza fedele rispetto al romanzo – l’ambivalenza e la difficoltà che accompagnano una maternità precoce, ma che rischia di risultare ostico a quanti non conoscono il romanzo. L’ambientazione internazionale lascia intatto il senso più intimo e sofferto della storia narrata dalla Ferrante, anche se alcune trasposizioni non appaiono del tutto convincenti. Un’opera che resta comunque destinata quasi esclusivamente ad un pubblico femminile.