L’amore secondo Giovanni Truppi con “Tuo padre, mia madre, Lucia”

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Giovanni Truppi_credits Ph. Mattia Zoppellaro

Nel Sanremo dedicato a Lucio Dalla e Franco Battiato, ai poeti che non ci sono più ma hanno lasciato una traccia indelebile, il cantautore napoletano Giovanni Truppi è in gara con “Tuo padre, mia madre, Lucia”. Un’istantanea romantica che fotografa ricordi-un suocero, una suocera e una figlia- racchiudendoli nell’album “Tutto l’universo”, antologia dei dieci anni della sua carriera in uscita il prossimo 4 febbraio in cd e sulle piattaforme online per Virgin Records-Universal Music Italia. Quattordici le canzoni, di cui quattro inediti, che raccontano un’autorialità rarefatta aprendo il cuore alle emozioni. In occasione della serata delle cover di venerdì, Truppi in duetto con Vinicio Capossela eseguirà “Nella mia ora di libertà”, omaggiando Fabrizio De Andrè. “Tuo padre, mia madre, Lucia” è stato scritto insieme a Marco Buccelli e Giovanni Pallotti, nonché Gino De Crescenzo, alias “Pacifico”, e Niccolò Contessa de “I Cani”. Prodotto da Buccelli e Taketo Gohara, coadiuvati da Stefano Nanni che dirigerà l’orchestra, dà il via al disco e ne è anche il suo epilogo ideale, trasportando indietro con le lancette fino a “Scomparire”, estratto da “C’è dentro di me” per l’etichetta Cinico Disincanto del 2010. In un salto cronologico che chiude con il suo esordio discografico. Linguaggi diversi si mescolano, dal jazz al rock, in una singolare inventiva metrica che distorce sillabe e versi armonizzandoli mediante una chiave di lettura originale che è tipica dei parolieri di una volta. Performer dall’intenso carisma, Truppi centra il bersaglio e le voci di corridoio della 72esima edizione del Festival gli attribuiscono già, in un duello tutto campano con Massimo Ranieri, il “Premio della critica Mia Martini” dopo aver vinto il prestigioso “Lunezia”. “Viscere sul tavolo”, citando il fumettista Andrea Pazienza, riflessioni e stati emotivi trascritti sulle pagine di un quaderno che rinnova la tradizione della love song, echeggiando a Lucio Battisti e Vasco Rossi, in un mix di sperimentazione, ricerca e richiami alla classicità melodica nella composizione. «”Tuo padre, mia madre, Lucia” è una dichiarazione d’amore in inverno, credo che questa stagione mi venga in mente perché è il momento dell’anno più in sintonia con le sue atmosfere e per il sentimento, che è di quelli che rimangono in piedi pure alla fine di una metaforica tempesta di neve. Un momento in cui la vita è più aspra e resistono solo le cose forti. La prospettiva di osservazione è quella dell’età adulta: io, Gino e Niccolò non siamo più dei ragazzi e sono del parere che queste parole siano arrivate perché, pur non essendo coetanei, tutti e tre abbiamo varcato una soglia. Scegliere una persona vuol dire, nell’attimo in cui si compie la scelta, prenderla tutta e a prescindere da tutto, poiché si sta immaginando il futuro insieme a lei.  Questo è l’amore di cui volevamo parlare, quello delle promesse che si scambiano gli sposi. Infine, la dimensione “matura” e “pubblica”, che significa esporsi all’esterno, arriva all’affollato titolo del brano, dove i personaggi sembrano tre, ma in realtà sono ben cinque. Questo padre, questa madre e questa Lucia, che è il nome di mia figlia, sono solo spettatori di una storia e non esisterebbero nemmeno senza i suoi veri protagonisti cioè i due componenti di una coppia», spiega l’artista, capace con la sua scrittura di scavare nella profondità dell’animo umano e di non lasciare indifferente chi lo ascolta. Spaziando da riflessioni filosofiche ad avvenimenti autobiografici, dalla politica al sesso e alla religione, quattro gli estratti del secondo disco a tratti punk, registrato dal vivo con Buccelli. “Il mondo è come te lo metti in testa”, “Nessuno”, “Amici nello spazio” e  “La domenica” regalano vibrazioni sonore nell’equilibrata fusione di chitarra, batteria e pianoforte. Nel terzo, invece, prevale l’eterogeneità compositiva e i temi si fanno più vividi e complessi in “Giovanni Truppi” del 2015 (Woodworm), trainato da “Superman”, “Tutto l’universo”, “Pirati” e  “Stai andando bene Giovanni”. Poi, “L’unica oltre l’amore”, “Borghesia” e “Conoscersi in una situazione di difficoltà”, che evidenziano lo sviluppo del lavoro  “Poesia e civiltà” (2019, Universal), celebrato come uno dei migliori italiani per la sua qualità artistica dal quotidiano francese “Le Monde”: qui prevale l’urgenza di stravolgere i tradizionali canoni cedendo il passo all’aspetto narrativo e non solo personale.

All’interno della raccolta è racchiusa la poetica “Mia”, arricchita dalla partecipazione di Calcutta e pubblicata sull’Ep “5” (2020, Universal), fino all’interpretazione con Brunori Sas di “Procreare” contenuto in “Tutto l’universo”.  Durante la presentazione dell’inedito sanremese, Truppi sottolinea: «Per la prima volta, per il fatto che come tutti sono stato da solo in questi ultimi tempi, ho sentito la voglia e l’esigenza di lavorare accanto ad altri autori.  In realtà, da sempre collaboro con Marco Buccelli che ha prodotto tutti i miei dischi e, con me, firma la maggior parte dei miei brani. Desideravo confrontarmi e, per tale esperimento, ho pensato a Gino e Niccolò, che ammiro molto. L’idea iniziale, le parole del ritornello mi sono venute in mente con la melodia passeggiando per Bologna, che è la città dove vivo da un paio d’anni. È una cosa che a volte succede e che, ovviamente, ti avvantaggia un pochino per scrivere. Il pezzo è incentrato sulla capacità di conoscersi in una situazione di difficoltà, che è quel passaggio che si verifica in una relazione dalla fase dell’innamoramento, l’inizio vero e proprio in cui i rischi aumentano, sino ad abbandonare la propria solitudine. Smettere di percepirsi soli può essere davvero impegnativo. In questo caso, il punto emozionale, la sua evoluzione, lo stadio che abbiamo cercato di raccontare sono quelli in cui la coppia si è formata e vive l’esperienza di costruire un amore, di essere in due, con i lati bellissimi e quelli difficili che provengono da fuori. Si parla di quando presenti il tuo fidanzato, o la tua ragazza, a un gruppo di amici, condividendo il rapporto che si proietta nel futuro con una famiglia, persone che non sono soltanto i due innamorati. Dico “quello che sarò, sarà con te” e i tre personaggi del titolo che, tornano anche nel ritornello, sono in realtà degli spettatori che non partecipano alla narrazione. Per quanto riguarda “tuo padre”, mio suocero, “mia madre” e “Lucia”, vivo con grande imbarazzo il fatto che ci sia una parte della mio privato nel titolo e nel testo».

E su Vinicio Capossela aggiunge: «È uno degli artisti che mi ha guidato di più da quando ho cominciato il mio percorso cantautorale. Con la sua musica,  il suo rigore,  il suo atteggiamento. E quindi, per la serata delle cover, non ci ho messo tanto a scegliere lui perché l’esecuzione di un brano di De Andrè mi spaventa di fronte ad un pubblico così ampio.  Il fatto che abbia accettato mi fa sentire più tranquillo. Penso che, indubbiamente, ci voglia un po’ di coraggio». Sul cosiddetto “Neapolitan Power” il cantautore non ha dubbi: «Tutta la cultura napoletana, compresa quella musicale, è necessaria per me e per la mia formazione. E l’attitudine di quella scuola particolare, che viene chiamata così, sicuramente mi è vicina per l’attenzione che, nel mio piccolo, metto nell’approfondimento degli strumenti che suono.  Rispetto ai vari amori che ho avuto, musicalmente parlando, e ai maestri che mi hanno ispirato, menzionerei De Andrè, Pino Daniele, Roberto Murolo, Edoardo Bennato. Sono debitore verso la mia città, per lo sguardo che Napoli sa donare sul mondo. Mi piacerebbe rimanere fedele ai miei valori. Ho conosciuto Lucio Dalla da bambino tramite mio zio, che era in contatto con qualcuno del suo team. Ricordo di essere andato nel suo camerino durante un tour. Indossava un camicione, quasi un vestito da Mago Merlino pieno di stelle. Ero felice di incontrarlo, avevo 8 anni.  Non è stato altrettanto per Franco Battiato,  però l’ho sempre ascoltato». In merito alla kermesse di Rai Uno che fa cantare l’Italia, Giovanni chiosa: «Della primissima infanzia non ho particolari memorie di Sanremo, a casa i miei genitori probabilmente non lo seguivano. Dalle scuole medie, invece, l’ho guardato con interesse, divertimento e una certa dose di goliardia. Tra l’altro, da noi, non era possibile sintonizzarsi su MTV, quindi mi mancava quella parte televisiva. Per una decina di anni sono stato insegnante di canto e, grazie ai miei allievi, studiavo i successi che venivano presentati su quel palcoscenico». I pezzi della storia del Festival ai quali si sente legato? “Perdere l’amore” di Ranieri e “Rospo” della band Quintorigo. Preservando le energie, adorato dai colleghi Tosca, Diodato e Pino Marino, prima della gara confessa che il suo unico rito scaramantico, da buon partenopeo, è quello di preoccuparsi se ha qualche linea di febbre addosso e, se non dovesse accadere, il concerto potrebbe andare male. Ma, in questo caso, il problema non si porrà.  «Mi appassiona il rap di Dargen D’Amico e mi piace La Rappresentante di Lista, li sento più affini. Però apprezzo Ditonellapiaga e Fabrizio Moro, autore che stimo», conclude il talentuoso musicista.