Ritorno al Sacro nell’album di Lobaccaro ispirato al “Monte Analogo”

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Un disco colto, elegante, raffinato, nel quale fin dal primo ascolto ci si accorge che qui non vi è traccia delle regole imposte dall’industria discografica, ma le leggi a cui risponde questo lavoro sono, semmai, quelle eterne del cosmo, visibili e invisibili. Sì, perché “Navigazioni intorno al Monte Analogo”, album di Michele Lobaccaro, storico componente dei Radiodervish, è un invito a un viaggio profondo al centro di se stessi, alla ricerca di un’isola sormontata da una grande montagna da scalare, solo apparentemente invisibile, ma assolutamente reale e accessibile per quei cuori puri che la cercano: là, dove “il pianeta si unisce al mare”. È una porta che si può aprire, ma soltanto per coloro che davvero vogliono oltrepassare la soglia ed entrare nell’universo che vi è oltre: “La vita è più vita se noi siamo qui. – canta Lobaccaro – Sull’asse del mondo la soglia svanì”.

Ed ecco che, così come i viaggiatori raccontati nel romanzo “Il Monte Analogo” di René Daumal, a cui il disco si ispira in modo diretto, si parte attraverso sonorità ricercate e parole simboliche, con le quali Lobaccaro traccia la rotta di questa ricerca verso una realtà che trascenda l’illusoria dimensione in cui il mondo sta sprofondando. Sbaglierebbe, tuttavia, chi crede che un simile viaggio possa avere una conclusione scontata. Il libro di Daumal termina alle pendici della montagna che il gruppo di temerari ricercatori raccontati nelle sue pagine aveva iniziato a salire, dopo un viaggio in mare a bordo del battello chiamato Impossibile: l’autore morì, infatti, prima di riuscire a completarlo. Eppure, da alcuni appunti resi noti postumi si conosce il titolo di quello che sarebbe dovuto essere l’ultimo capitolo: “E voi che cosa cercate?” Una domanda, non certo una risposta, né un dogma o una certezza. Una domanda che, però, risulta ancora una volta come un invito a non cedere all’evidenza di un mondo in disfacimento, di un’umanità in disfacimento e perennemente addormentata e inconsapevole: l’invito è quello di esserci. Di essere. Nel romanzo come nell’album.

Alla frenesia contemporanea, nel disco si contrappone il silenzio che traspira da ogni nota, che è anche e soprattutto un ritorno al Sacro, ad una dimensione più normale, nel quale il piano orizzontale della materia è costantemente e invisibilmente attraversato da quello verticale dello spirito: “È la montagna simbolica che unisce il Cielo alla Terra; via che deve materialmente, umanamente esistere, perché se no, la nostra situazione sarebbe senza speranza”. Così scriveva René Daumal in una lettera del 1940 e così canta Lobaccaro: “Nel delirio capitalista io cerco strade che non conoscono lamenti”.

È ancora una volta la domanda a farsi rito e ritmo musicale e vocale, come la recita di un mantra, di un rosario. Come una preghiera che parte dal cuore e arriva al cuore: una pratica antichissima e vivente, soprattutto nella Cristianità Ortodossa e in Oriente, dallo Zikr dei Sufi all’Om (Aum) dell’Induismo, con cui si manifesta “nel nostro piano” Vac, la Parola originaria, il Verbo, il Suono che non ha tempo e luogo, ma che si può ricercare in ogni luogo e in ogni tempo: “Questa parola eterna è tutto: ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà” (Mundaka Upaniṣad). Una domanda interiore, dunque, ma che a ben guardare è del tutto diversa dal dubbio, dal mero relativismo o dall’esistenzialismo, poiché comporta una scelta, che nell’album è richiesta espressamente: “Dimmi dove sei, dimmi cosa vuoi”.

Nei nove brani, si scorge l’influenza di Franco Battiato, scopritore dei Radiodervish e con il quale Michele Lobaccaro ha collaborato. E non mancano alcuni ospiti illustri che arricchiscono ulteriormente questo lavoro discografico: nel brano intitolato Sogol (ispirato al nome del capo spedizione narrato nel libro di Daumal), la voce è quella del cantante palestinese Nabil Salameh, anch’egli dei Radiodervish, che in arabo canta i nomi di diversi mistici e filosofi islamici e i titoli di antichi testi. Sogol è l’opposto di Logos, poiché in un simile cammino tutto è rimesso in discussione. Soprattutto quelle che si suppone siano le certezze del pensiero razionale. Così come indicava Georges Ivanovitch Gurdjieff, al cui insegnamento René Daumal venne introdotto grazie ad Alexandre de Salzmann, artista poliedrico di origine georgiana. Il suono di alcuni strumenti è affidato al siciliano Giancarlo Parisi, mentre nel brano “I giorni che verranno”, Juri Camisasca canta “nuovi capitani disegnati su mappe che il mare non finisce e solo il cuore conosce”: capitani di una rotta che non si sa esattamente dove porti e cosa riservi, ma che è necessario tracciare, per scoprire l’universo che poco a poco si dischiude in noi e fuori di noi mediante un costante lavoro su se stessi. Non da soli, ma insieme ai propri compagni di viaggio. E riconoscendo l’ineluttabilità delle leggi dell’Universo, così come delle leggi del Monte Analogo, una delle quali viene spiegata dallo stesso René Daumal: “Per raggiungere la cima bisogna andare di rifugio in rifugio. Ma prima di lasciare un rifugio si ha il dovere di preparare gli esseri che devono venire a occuparvi il posto che si lascia. E solo dopo averli preparati si può salire più in alto. Per questo, prima di lanciarci verso un nuovo rifugio abbiamo dovuto ridiscendere per trasmettere le nostre prime conoscenze ad altri ricercatori”.

In definitiva, il sublime lavoro discografico di Michele Lobaccaro, uscito alla vigilia della baraonda di Sanremo, è una pietra lanciata non in uno stagno ma in un oceano, con nove perle che probabilmente (e fortunatamente) non potranno mai paragonarsi ai tormentoni dell’Ariston, ma che di certo saranno apprezzate da chi nella musica ricerca ancora sonorità interessanti e testi in grado di parlare all’anima, a quel centro di noi stessi, che ogni tanto dovremmo ricordarci di ascoltare.