25 marzo 1300: secondo molti esperti dantisti, fu questo il giorno in cui il Sommo Poeta intraprese il suo mistico viaggio purificatore attraverso i tre regni dell’Oltretomba.
Si tratta infatti proprio del primo giorno di quella indimenticabile Settimana Santa, che ha donato agli uomini e al mondo intero la più grande opera letteraria mai universalmente concepita dall’umano ingegno. E questo sarà proprio il secondo anno in cui nel calendario è entrato a far parte il Dantedì, adorabile termine coniato nel gennaio 2020 dal giornalista Paolo Di Stefano sul Corriere.
Credo che l’immenso e abbacinante amore che mi leghi al Poeta sia un vincolo inspiegabilmente magico e prezioso, tale da imporsi su qualsiasi altro.
Il Poeta. Null’altro, se non il suo ruolo, per identificare univocamente la sua essenza, la sua magnificenza e la sua gloria, che eterna risplende e risuona anche dopo settecento lunghissimi anni. Come se inevitabilmente fosse impossibile individuare dietro questa espressione altri poeti all’infuori di lui.
Il Padre della Lingua e della Patria, il primo a parlare di Italia, a credere per davvero in Lei come Stato, come Nazione e come identità, definendola per primo ‘il bel paese’, promuovendo un’unità nazionale ante litteram che sulla carta sarebbe arrivata solo svariati secoli dopo, narrando la gloria di una terra lussureggiante, piena certamente di difetti e ahimè di corruzione, ma ancor di più, straripante di bellezza e di incantata virtù.
Se solo tutti sapessero quanto grande sia stato il dono di cui ci ha reso destinatari, il mondo sarebbe un posto straordinariamente migliore. Se solo tutti immaginassimo anche solo lontanamente quanta potenza si celi dietro ogni verso, quanto lustro sia rimasto incatenato a quelle terzine, quanta immensità sia contenuta in ogni canto, forse nessuno potrebbe più fare a meno della poesia nella propria vita. È proprio lei, la poesia, imperitura e multiforme, l’unica arma che a distanza di secoli continuerà a salvare e purificare ogni cuore. La bellezza che attraverso il dolore, che approda alla salvezza attraverso il peccato, lo stile sublime che si mescola al grottesco, poi la disperazione e infine la speranza, per formare un mosaico di ossimorica e inarrivabile perfezione.
La Commedia di fatti non si propone di essere esclusivamente il percorso catartico del solo Dante, ma assurge a cammino di conversione, di riscoperta e di autentica rinascita per ognuno di noi.
È semplicemente incredibile, se non straordinario, rendersi conto di quante storie in essa confluiscano: peccatori comuni e personalità più note, uomini, donne, giovani, vecchi, appartenenti a qualsiasi epoca, di ogni età, provenienza, ceto sociale, come a volerci ricordare che la nostra destinazione finale sarà la stessa per tutti, senza differenze, senza possibilità alcuna di sottrarsi agli imperscrutabili disegni divini.
Ogni volta che Dante incrocia anime lungo il suo viaggio, assieme al suo amato Virgilio, guida fedele e spalla sicura, altro non fa che rappresentare la storia di ognuno: a distanza di così tanti anni, le colpe e i meriti degli uomini permangono gli stessi. Chi, ad esempio, vinto dalle passioni si abbandona alla lussuria, chi accecato dal denaro si lascia travolgere dall’avarizia, chi dalla gola e da altre incontinenze della carne frutto dei peccati capitali, fino a sprofondare nelle colpe più gravi, più profonde, più imperdonabili.
I violenti, i fraudolenti, i traditori, questi ultimi scagliati negli abissi luciferini, come se tanto allora, quanto oggi, non ci fosse nulla di più deplorevole e deprecabile che pugnalare alle spalle un congiunto, un amico, un ospite, o la propria stessa patria, finanche Gesù stesso come nel caso di Giuda, collocato con Bruto e Cassio direttamente nelle fauci di Satana.
È magnifico fermarsi a riflettere sul modo in cui la stragrande maggioranza dei versi danteschi riesca a imporsi su ogni lettore con una attualità disarmante, come se fosse dovere di ognuno imparare a conoscerli, amarli, innalzarli come un personale ed esemplare paradigma.
Come potremmo restare indifferenti dinanzi a Catone l’Uticense, che, nonostante suicida, viene prescelto da Dante come guardiano del Purgatorio, in quanto uomo di ideali sì tanto saldi, da essere disposto a morire per loro, mentre la sua Roma cessava di essere la Repubblica in cui sempre aveva creduto. Dante ci fornisce un munifico esempio di quanto la lotta per la libertà non conosca confini temporali, bensì venga eternata dallo spirito di ribellione che unisce, oggi come allora tutti i popoli della Terra.
Leggere Dante ci insegna ad amare, a credere nella nostra Storia, a ergerci custodi di un un inestimabile e preziosissimo bagaglio di valori, che dalla sua epoca giungono fino ai nostri giorni. L’amore di Paolo e Francesca, che seppur peccaminoso, non si piega alla morte, ma congiunge due anime amanti, sospinte nella bufera della dannazione e dell’eternità, quell’amore che non permette a nessuno che ne provi così tanto di non essere ricambiato a sua volta: “Amor ch’a nullo amato amar perdona mi prese del costui piacer sì forte che come vedi ancor non m’abbandona” come secolare vessillo di un amore che risuona per tutta l’eternità.
Tutta da scoprire e amare è anche la dolcezza di Piccarda Donati, nel cielo della Luna, che col suo fulgido esempio di vita ci insegna il valore della Carità, l’unica tra le tre virtù teologali a sopravvivere anche in Paradiso: là dove la Fede è oramai dimostrata e di Speranza non ce n’é più bisogno, la Carità permane invece come la più grande manifestazione di amore tra le anime, poiché nessuna di esse desidererebbe avere più di quanto abbia già, nemmeno un grado superiore di elevazione.
In Giustiniano, si palesa invece il valore della Storia, la gloria di Roma, il fascino di un Impero eterno, come se la poesia dantesca riuscisse a far rivivere attraverso le parole del sovrano più di mille anni di Storia. Come se Dante fosse effettivamente e straordinariamente vicino a ogni personaggio, e in esso ci permettesse di dar forma a ogni epoca passata e riviverla nel nostro presente.
Ma è con la preghiera alla Vergine che affiora quanto di più sublime il genio dantesco abbia potuto mai donarci. XXXIII canto. Tutto sta per concludersi. Si è giunti a destinazione. Gli occhi di Dante sembrano posarsi sul suo Creatore; svanisce il timore, l’apprensione, ma esplode la luce. Tutto è trasfigurato di eterna e abbacinante luce. È la luce dell’Amore. È la misericordia divina, quella che ha permesso all’anima di Dante di elevarsi fino a prendere parte all’avventura più indimenticabile che il suo cuore abbia mai potuto concepire. C’è Beatrice, per l’ultima volta, c’è l’amore per una donna che lo ha salvato, in tutti i modi e con tutti i mezzi con cui un uomo avrebbe potuto essere salvato, intercedendo persino con la Madonna stessa. E c’è Dio, presenza infinita ed eterno raggio di sole, che guida la Storia, i popoli, le Nazioni, qualsiasi creatura del suo sterminato creato e che mai come in questo momento si mostra a noi come quell’Amor che move ‘l sole e l’altre stelle.