La banalità della banana di Cattelan ci ha scocciato

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È un libro di resistenza, in una società che ama il brutto e vilipende il sacro, dove ho raccolto in modo semplice tutte le mie riflessioni sulla Bellezza e la pittura“. Così Angelo Crespi, critico militante in un’epoca, appunto, in cui la critica è sparita dai radar a proposito del pamphlet in forma di lunga intervista in libreria da ieri: “Nostalgia della bellezza. Perché l’arte contemporanea ama il brutto e il mercato ci specula sopra” (Giubilei Regnani, 150 pagine € 13,30), con quel sottotitolo che suona molto come i libri di inchiesta del mercato editoriale americano, così giornalistici e a effetto.

Angelo Crespi, fresco autore del libro "Nostalgia della bellezza" uscito per Giubilei Regnani, ci parla di arte, bellezza e mercato

E Crespi ne ha ben donde: alzi la mano chi non s’è mai sentito un po’ come Alberto Sordi alla Biennale di Venezia e non abbia almeno aperto la boccuccia a culo di gallina davanti a un’immagine del Cristo immerso nell’urina (“Piss Christ”, Andres Serrano) o al circo montato all’Hangar Bicocca (Carsten Höller).

Il cosmopolita che legge Flash Art vi dirà che siete voi che non capite, che l’arte contemporanea non è il quadruccio col tramonto sull’oceano poverini, perché l’arte ci deve emozionare, ci deve sorprendere e la rava e la fava, ma intanto uno (Petrit Halilaj) allestisce un pollaio nello spazio espositivo che piace alla gente che piace, lo chiamano installazione sito specifica (anzi, site specific) e tutti con la mano sotto il mento pensosi e àfoni.

“Nostalgia della bellezza” parte con un’immagine che gli aficionados dell’arte contemporanea conoscono tutti, cioè la banana scocciata di Maurizio Cattelan esposta nello stand della galleria Perrotin di Parigi durante l’edizione 2019 della fiera di Miami e venduta a 120 mila dollari: “Gli apologeti del contemporaneo hanno innalzato lodi al cielo, definendola un’idea geniale, le masse stupide e stupite si sono messe in fila per vederla“, scrive Crespi e tu chiamala la banalità della banana se vuoi.

In che modo, allora, oggi, si dà valore all’arte?Chi l’aveva acquistata [la banana di Catellan, n.d.r.] non aveva certo pagato un frutto destinato a deperirsi nell’arco di pochi giorni. Ha comprato l’idea“. Da qui l’assioma: l’arte vale perché costa, non il contrario.

Sembran passati anni luce da quando, non potendo comprare l’isola impacchettata di Christo (altro artista chic), ne compravi il bozzetto incorniciato dietro il vetro museale: ora compri la banana e godi come un riccio perché sai di esser così diventato un protagonista dell’estate.

Si esalta all’infinito il controsenso senza neppure la poeticità che contraddistingueva negli anni Sessanta le performance di Ives Klein“, dice Crespi e tu dagli torto: è nostalgia? Sì, senza temere di sembrare ignoranti, è “nostalgia della bellezza” e di un sistema in cui l’arte costava perché valeva.

Un ruolo importantissimo, anzi fondamentale, nel determinare l’attuale stato di cose (anzi dell’arte) l’hanno svolto gli operatori di settore, che non sono solo artisti e galleristi e collezionisti: i media specializzati. Lo show della banana “non esce dal perimetro del teatrino di Art Basel Fair Miami, ha un riflesso all’esterno solo grazie ai media“. C’è ancora qualcuno che nega quanto sia autoreferenziale il sistema dell’arte?Non c’è nessun contatto con la realtà, la banana non ci dice nulla di interessante su di noi, sulla nostra vita, sull’amore, sulla bellezza, sul mondo, sulla morte; ci dice solo che il meccanismo dell’arte contemporanea è malato e che qualcuno ci vuole guadagnare“.

Lasciando la banana a Cattelan, la bellezza di cui parla il libro non è la bellezza di un Eldorado nascosto nel tempo: Crespi non è un passatista, ma un futurista, nel senso che vuole (vorrebbe) poter rivedere la bellezza “nelle metamorfosi perenni del Tempo“, quella bellezza che di volta in volta rinasce in forme sempre nuove in ogni epoca: “ho nostalgia della bellezza futura e desiderio di fare ritorno a casa, perché la bellezza è la nostra casa e dà senso e dignità alla vita“.

Ecco, quando gli operatori di settore ci spiegano le mostre dicendo che la tal performance è democratica e parla di noi, chiediamoci come riescano a resistere alla tentazione di rotolarsi per terra dalle risate dopo aver parlato.