Gianni Maroccolo: “Viaggiate con me nel flusso creativo puro”

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Chiunque abbia ascoltato musica alternativa tra gli anni ’80 e ’90 non può non conoscere l’importanza che Gianni Maroccolo ha avuto, prevalentemente in qualità di bassista, per l’ambiente punk e soprattutto rock. Durante la sua lunga carriera ha scritto pagine di storia passando tra Litfiba, Cccp, Csi, Pgr, fino ai Marlene Kuntz. Adesso, dopo i suoi lavori da solista, il Marok (inter)nazionale si racconta…

Dopo aver scritto la storia del rock italiano attraverso i Litfiba, Cccp, Csi, Pgr, Marlene Kuntz hai deciso di metterti in proprio e lavorare su un nuovo modo di concepire il suono. Un esempio emblematico è l’antologia di “Alone”, dai tratti istintivi e cupi. Qual è stato il modello che ha ispirato questa serie e la sua struttura musicale?

Nessun modello direi. Credo si sia trattato di recuperare una parte di me che avevo trascurato durante anni e anni passati in gruppo e/o in progetti di musica di insieme. In queste esperienze più che all’ aspetto puro della composizione, mi dedicavo maggiormente a quello che in gergo viene definito l’ arrangiamento, e al mio ruolo di bassista. Parallelamente all’ attività con i Litfiba, studiavo musica elettronica e fonologia, bazzicavo studi di registrazione, frequentavo corsi di percussioni, di armonia e musica di insieme. Ascoltavo molta musica strumentale, musica sacra, sinfonica. Insomma, non ho mai smesso di essere curioso e di studiare, ma ovviamente in una esperienza di gruppo la finalità primaria è l’ insieme, di conseguenza, come capita a tutti credo, ho messo a tacere una parte del mio immaginario sonoro e musicale. E sia chiaro, sono stato ben felice di farlo perché è impensabile che in un progetto di insieme tutti i musicisti possano esprimersi totalmente: la vita e l’ alchimia di un gruppo vivono soprattutto della capacità di fare dei passi indietro a livello individuale. Le mie esperienze di gruppo sono state meravigliose e importantissime ma niente nella vita è per sempre, e ad un certo punto mi sono ritrovato a non avere più una storia di gruppo e a non avere più la forza né l’ interesse a costruirne uno nuovo. Presa coscienza di questo con “Alone” ho ripreso a fare musica in solitaria dando libero sfogo a quella parte di me che tanti anni fa avevo chiuso in un cassetto.

So che un amore per la serialità delle cose l’hai avuta sin da bambino, quando a casa dei tuoi genitori arrivava ogni mese una raccolta di libri la cui impostazione era sempre la stessa e addirittura le copertine si somigliavano molto, come quelle degli album di “Alone” in fondo.

Si, è vero. Quella pubblicazione si chiamava : Selezione Reader’s Digest. Ogni mese proponeva un sunto di tre o quattro libri e io non volevo l’ ora che arrivasse. Non so perché, ma sono sempre stato attirato da questa dimensione apparentemente ripetitiva. Adoravo anche i fumetti, soprattutto quelli che continuavano all’ infinito a differenza di quelli dove invece ogni singolo episodio prevedeva una fine. Idem alla televisione… ai film e ai telefilm, preferivo gli sceneggiati. Così come certe esperienze musicali tematiche; ad esempio, l’ Ecm, la Real World, etichette che proponevano un vero e proprio percorso più che un catalogo di dischi eterogenei tra loro. Ricordo che durante l’ esperienza del Consorzio Produttori Indipendenti, inventai anche io una piccola collana; si chiamava “Taccuini”, collana di musica aliena. E ogni volume era caratterizzato dalle splendide illustrazioni di Andrea Chiesi. E credo di possedere ancora tutti i volumi di “Made to misure”, la splendida collana della Crammed Discs nata negli anni 80. Quando ho immaginato “Alone” mi è venuto naturale pensare ad una sorta di collana e a qualcosa che non prevedesse una fine. Un disco perpetuo appunto. Una collana che vivesse soprattutto dell’ arte dell’ incontro tra vari linguaggi espressivi non solo musicali. I primi quattro volumi di “Alone” infatti, sono stati narrati oltre che da suoni e note, dalle illustrazioni e dall’ art work di Marco Cazzato, e dai racconti immaginifici di Mirco Salvadori.

Spesso hai definito questo tuo nuovo percorso musicale un vero e proprio viaggio. Ce ne puoi parlare?

Il viaggio è quello che accomuna tutti gli esseri umani. In questa vita terrena e in quelle che ci attendono. Ma “Alone” è anche un viaggio nel flusso creativo puro. Quello non mediato dalla mente, non sovraprodotto o manipolato. Un viaggio che fotografa fedelmente l’ attimo compositivo in modo istantaneo e lo riproduce senza modifica alcuna. La primigenia di un brano musicale. Le uniche variazioni sonore e musicali sono rappresentate dai camei liberamente composti da ospiti, amici e amiche che via via collaborano ad ogni volume.

Cosa rappresenta per te l’idea del viaggio? In tutte le sue interpretazioni.

La ricerca. Il sapere. La scoperta. La condivisione. L’ incontro. Il confronto. La bellezza delle differenze. Siamo su questo pianeta da poco tempo e non ci siamo evoluti molto. Mi piace pensare di essere parte di un tutt’uno dove ogni essere senziente coopera ed è connesso con gli altri. E’ un viaggio senza meta forse, ma che ho scelto di fare abbandonando ogni paura di perdere qualcosa o qualcuno. Un viaggio privo di sicurezze o di certezze. Il presente è ciò che conta, e fare la propria parte.

In questo tuo approccio alla musica è evidente uno sguardo onirico, che passa tra incubi e richiami quasi primordiali. Ci sono degli scrittori che hanno influenzato le tue visioni?

Più che visioni preferisco pensare a delle suggestioni che nascono dal mio vissuto e da ciò che mi circonda. Potrei citare tanti libri e altrettanti scrittori, ma credo che il mio approccio alla musica abbia più a che fare con le canzoni e i testi che mi hanno formato nel tempo. Sicuramente anche con una serie di incontri speciali con persone altrettanto speciali e illuminate. Quelle in grado di aprirti la mente e il cuore.

Con quali film definiresti la tua musica?

Il primo che mi viene in mente è “Il Miglio Verde.” Umano, doloroso, spirituale, amorevole.

In questo progetto c’è una scelta stilistica precisa, lavorare estremamente sulla parte strumentale ed utilizzare la voce come strumento musicale. Quanto credi sia difficile oggi fare un disco così e quanto credi invece sia importante perdersi tra le note e i suoni?

Narrare con suoni e note non è certo facile. Ma la musica ci mette in connessione e ci permette di comunicare. Non necessariamente le emozioni devono essere codificate a livello razionale. Ogni cosa nel pianeta vibra costantemente e queste vibrazioni generano delle frequenze. Quando chi suona e chi ascolta iniziano a vibrare sulle stesse frequenze si è connessi e si condivide qualcosa di molto potente che non necessita di essere spiegato con le parole cantate. Perché, anche volendo, molto spesso non troveremo le parole giuste per farci comprendere. La musica strumentale possiamo dire che comunica attraverso modalità diverse alla canzone. Non credo però sia difficile in assoluto fare dischi di musica strumentale; è sufficiente desiderarlo e avere il coraggio di farlo.

Puoi spiegarci quella tua visione sulla natura, che lega gli uomini come alberi?

Più che una visione, è quanto ho imparato grazie alla collaborazione con lo scienziato Stefano Mancuso durante il progetto “Botanica” dei Deproducers. In breve, per certi aspetti l’ organizzazione della vita sociale delle piante dovrebbe essere per noi esseri umani un buon esempio da seguire. Le piante, pur essendo apparentemente ferme, riescono a vivere per moltissimo tempo e a difendersi da tutto e da tutti. La loro non è una società verticistica come la nostra, ma orizzontale. Non esistono capi, non esistono piramidi sociali, non esiste dualismo né un potere prevaricante. Le piante sopravvivono e sopravviveranno anche ai nostri tentativi di distruzione del pianeta grazie ad una semplice legge: la cooperazione. Sono connesse e senzienti come noi esseri umani, ma sanno che per vivere hanno la necessità di cooperare tra loro. Questo noi non lo abbiamo ancora imparato e ci vorrà molto tempo prima che la lezione risulti chiara a tutti. Per di più abbiamo la presunzione di pensare di essere la specie più forte del pianeta e la più evoluta appunto. Arriviamo a pensare che il nostro comportamento possa arrivare un giorno a distruggere la natura non capendo che la natura e le piante sopravviveranno comunque, mentre quelli destinati a sparire potremmo essere proprio noi. Oggigiorno ci si allarma e si ha terrore del fenomeno immigratorio, timori che personalmente non condivido, ma se ci si fermasse solo un attimo a riflettere scopriremmo che i cambiamenti climatici rischia di desertificare gran parte dell’ Africa e non solo…. quando e se questo accadrà, in quei paesi non sarebbe più possibile fare agricoltura e la fame aumenterebbe a livelli inimmaginabili. E a quel punto cosa farebbero milioni di persone ridotte alla fame se non immigrare verso l’ occidente? E non si tratterebbe certo di miglia di persone.

Ritornando al tema del viaggio, quali sono le prossime vette su cui vuoi salire?

Non saprei davvero. Vivo il qui e ora e non penso molto al futuro. Un desiderio piccolo piccolo lo avrei: un gozzo. Sogno da una vita di uscire in mare tutti i giorni con un vecchio gozzo. Ma non ci penso troppo altrimenti, come spesso accade, più desideri qualcosa e più quel desiderio ti allontana dalla meta.