Formale o informale, la meditazione diventa vita

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Foto di Deedster da Pixabay

Quando parliamo di meditazione, immaginiamo una persona seduta su un cuscino, con le gambe incrociate, gli occhi socchiusi, un lieve sorriso sulle labbra. Questo tipo di pratica si chiama “formale”, ma come dice il monaco Henepola Gunaratana, il momento più importante della meditazione è quando ci alziamo da quel cuscino.

Una volta finita la pratica formale, non possiamo abbandonare lo stato di consapevolezza che si è andato a creare e riprendere le nostre attività come se nulla fosse, con la testa sempre altrove, senza prestare attenzione a nulla.

Per chi medita da anni, è chiaro che dopo un po’ è la pratica a diventare la vita e la vita a diventare la pratica. Ci alziamo dal cuscino e notiamo ogni nostro movimento, quale parte del corpo muoviamo per prima, come ci sentiamo, in che modo ci alziamo e usciamo dalla stanza, e cerchiamo di portare questo stato di consapevolezza in ogni attività quotidiana. Proviamo a vivere ogni gesto con presenza mentale e attenzione. La mente si distrarrà, è normale, ma ogni volta che comincerà a vagare e si ritroverà a pensare al passato o si sdraierà sognante su una spiaggia ai Caraibi, noi la riporteremo al presente, a quello che stavamo facendo in quel momento, che ci piaccia oppure no. È così che impariamo ad allenare la nostra mente a stare nel qui e ora.

Per agevolare questo processo, possiamo usufruire di molte attività quotidiane e trasformarle in pratiche informali. Possiamo scegliere di lavarci i denti con consapevolezza, provando a tenere la mente concentrata sull’azione, notando la sensazione che genera strofinare le setole dello spazzolino sui denti, sentire il sapore del dentifricio, fare caso alla mano che si muove e come si muove, notare se usiamo forza o leggerezza. La mente si allontanerà, ovvio, e noi seguiamola per capire dove va, cosa fa, e poi riportiamola a quel gesto, a quel momento, ogni volta. Possiamo scegliere di lavare i piatti in questo modo, di pulire la cucina o il bagno, vestirci, cucinare, quello che vogliamo. Proviamo a scegliere un’azione quotidiana e a trasformarla in una pratica meditativa a tutti gli effetti.

Nello zen si dice che è possibile raggiungere l’illuminazione anche mentre si stanno lavando i piatti o cucinando oppure dipingendo, suonando, scrivendo una poesia, osservando un fiore. Ogni momento è quello giusto se lo viviamo coscientemente.

Come pratica informale si può anche camminare in un parco, in città oppure in montagna. Troviamo il nostro ritmo, che può essere lento o veloce, e teniamo l’attenzione sulle piante dei piedi, passo dopo passo. Notiamo i movimenti dei piedi e anche delle gambe, quali muscoli si attivano, com’è il suolo sotto le nostre scarpe. Possiamo anche prestare attenzione ai suoni, ai rumori intorno a noi.

La meditazione camminata è anche una pratica formale che possiamo praticare a casa, scalzi, camminando molto lentamente avanti indietro, per non più di un paio di metri, andando e tornando. In questo caso portiamo tutta la nostra attenzione sulle piante dei piedi e seguiamo il tallone che scegliamo di alzare per primo, seguendone ogni movimento, fino alla punta delle dita che si staccano da terra. Il piede rimane sospeso per un attimo, e poi il tallone tocca di nuovo il pavimento, fino alla punta delle dita. E nel frattempo scopriamo in che modo lavorano le gambe e tutto il corpo per mantenerci eretti, in equilibrio. Possiamo anche associare la respirazione a ogni movimento: mentre alziamo il piede, inspiriamo, durante la breve pausa tra l’inspiro e l’espiro il piede rimane sospeso, e all’espiro tocchiamo terra. Divertiamoci, proviamo a tornare bambini, come se imparassimo a camminare per la prima volta.