In copertina c’è la sagoma radiosa di un ragazzo: un accenno di sorriso, al posto del cuore una galleria e una rotaia che ci corre dentro. Ci vorranno 208 pagine per scoprire chi è, e ancora non lo si saprà del tutto. Ho provato a morire e non ci sono riuscito (edizioni di Atlantide, 2020, pp. 208, € 15) è l’esordio di un diciassettenne, Alessandro Valenti, nella nuova collana della casa editrice di Simone Caltabellota, che ad un certo punto si è sganciato dall’editoria commerciale per pubblicare solo i libri che gli piacciono davvero. E questo è proprio un bell’azzardo. È una storia d’amore assoluto tra due ragazzi di quattordici o forse quattordicimila anni.
La copertina è rosa shocking, il corpo in primo piano è blu. Le lettere del titolo sono deformate. È un luna-park, ma la corsa che parte a pagina uno fa presto a toglierti il fiato. Sei nel mondo pazzo di oggi. Inconcludente, fragile, presuntuoso, impaurito, cinico, incomprensibile, miracoloso. Pieno di trucchi, di doppie facce. È quello che hai davanti ogni mattina e ogni sera, anche se non lo riconosci perché hai paura di esserci dentro anche tu.
Alessandro è evidentemente stufo: di dormire, di essere prudente, di seguire la freccia che indica “per di qua”. Ci provano, a farlo ragionare, ma le parole vuote sono senza suono. E non dicono qual è la via. Per quello, bisogna essere innamorati.
La mappa di Alessandro punta un solo posto (la casa di Emma, nella periferia povera di Roma), ed è dalla parte opposta di “per di qua”. È dove non si fa carriera, dove non si è troppo simpatici ai professori, e probabilmente nemmeno ai poliziotti, dove c’è la gente brutta della stazione, quella che spaccia e si fa di ogni schifezza, dove però passa quel filo d’oro, quella musica remota e implicita come l’eco del big bang, l’om cosmico, il canto delle sirene. Se Ulisse non si fosse fatto legare dai compagni per non avere troppa voglia di andarsene, per non provare anche lui a morire, sarebbe lì, con Alessandro, a deragliare sul Frecciarossa che scende a Roma e passa dentro la galleria nera del suo cuore.
Hanno ragione i molti che, nella storia, lo chiamano sbaglio, praticamente tutti: con quel canto non paghi i biglietti del treno e gli elettori per votare proprio te. E magari fai piangere la mamma, che ti vuole soprattutto vivo. Anche se è troppo stanca per essere sicura di averti potuto spiegare bene che cos’è la vita. Ha altri due figli: Giulio e Matteo, che ha due anni. E nel pancione c’è Alice. La vita, se non puoi farne a meno, ti tocca andare a prenderla e a perderla da solo.
E la verità? Almeno quella te l’avrà insegnata? O finisce che dovrai insegnargliela tu, che ti autodescrivi come un “figlio spinato”, in quella pagina che fa liquefare il cuore a ogni genitore consapevole del mistero fragilissimo che ha tra le braccia?
Di questa storia struggente strozza la gola l’amarezza. Già il titolo lo dice: qui, qui in questo unico e pazzo e presuntuoso e impaurito mondo, forse non è possibile niente. Il Boss si sgola: “Dream, baby, dream”. Ma tu non provarci troppo a morire, Alessandro. Hai ragione tu e torto noi: basta poco a capirlo. Ma non provarci proprio troppo troppo. Promesso?