Che bello intrecciare la nostra vita coi fili della Grande Tessitrice

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Andate al Museo Messina di Milano in via S. Sisto 6 (una chiesa sconsacrata di cui entrò in possesso nel 1969 lo scultore Francesco Messina e ora adibito anche come spazio espositivo per mostre temporanee): in via del tutto eccezionale e nonostante il Covid 19 l’artista milanese Cristina Volpi è riuscita ad allestire la sua mostra, in là rispetto alla data fissata in era pre-Covid, a tempo di record e per un periodo limitato a una settimana.

Per citare il povero Giuseppe Sala, #milanononsiferma e la sfanga, sia pure per una settimana: la durata dell’esposizione di questa mostra è eccezionale in duplice senso, per le tempistiche (inaugurazione il 27 giugno, chiude il 5 luglio) e per la qualità.

Cristina Volpi, classe 1975, da anni pratica l’arte del filo e della carta e del tessuto e del materiale in senso lato. La sua produzione si può, per alcune circostanze specifiche, definire installativa, anche se non mancano le opere a parete e risente nel profondo di un fortissimo ascendente filosofico, psicologico, antropologico, che emerge massivamente in questa mostra a cura di Sergio Sabbadini nata per la volontà del gruppo Terra Migaki Design 2020 e che vede coinvolti, oltre alla Volpi, gli artisti Mario Costantini e Dino De Simone.

Il concept della mostra di Cristina Volpi è LA GRANDE MADRE – Omaggio a Erich Neumann, psicologo e psicanalista che ha unito le due teorie l’analitica di Jung e l’epistemologia genetica di Jean Piaget e riflette la ricerca annosa dell’artista: l’inconscio, il mito, il femminile. La mostra si sviluppa su tre livelli, che dai piani del museo (ingresso, interrato, superiore) riflettono i tre livelli dell’esistenza, dove il mondo visibile e quello invisibile si intrecciano continuamente.

All’ingresso vediamo la “balconata” del museo su un angolo della quale sta, in apparente equilibrio precario, un sacco ovigero modellato in terra cruda, da cui si dipanano i fili (accuratamente scelti dall’artista milanese in cotone puro non sintetico, per una lunghezza totale di 300 metri) di una tessitura ideale che del piano terra si allungano nel profondo, agganciandosi ad una colonna del piano interrato del museo.

Da qui sotto si vede l’installazione da un altro punto di vista, infero, appunto, che ci permette di scorgere i dettagli del vaso che, all’ingresso, non potevamo vedere: sono i particolari del vaso-grembo della grande tessitrice, nascosta in qualche angolo vicino alla propria creazione, il Ragno Femmina, la femmina del ragno, la Grande Madre appunto.

Riprendendo Neumann, al quale Volpi si ispira, “[…] non è difficile riconoscere che una delle proiezioni più importanti dell’Archetipo del Femminile come totalità è lo spazio. Ciò risulta evidente già dal suo carattere essenziale di vaso, uovo cosmico, cioè contenente […] la Grande Madre, adornata dalla luna e dal mantello trapunto di astri notturni, è quindi anche la Dea del fato, che tesse la vita così come il destino […] l’incrocio dei fili è simbolo dell’unione sessuale e, l’incrocio dei sessi è la modalità fondamentale con cui l’Archetipo del Femminile ‘tesse’ la vita”.

Il ragno, o meglio il Ragno Femmina, è nascosto da qualche parte ma c’è per davvero ed è pure grosso, totalmente realizzato da Cristina Volpi in tessuto nero.

Esso incarna l’aspetto uno e bino, contraddittorio, dell’Archetipo femminile: la Madre Buona, che dà la vita e protegge e la Madre Terribile, che cattura e distrugge, mentre il vaso-grembo simbolizza la Madre, ma anche la Terra (non si dice nel linguaggio corrente “madre patria”, “terra madre”?): “[…] la Terra è il grembo primordiale. Gli esseri viventi -piante, animali e uomini emergono dalla loro gestazione nel profondo del suo ventre, e vi fanno ritorno con la morte, per poi rinascere nuovamente. Così i misteri supremi e fondamentali del principio femminile sono simboleggiati dalla Terra e dalle sue trasformazioni” (Erich Neumann).

E’ l’incontro fra l’analitica junghiana e l’epistemologia genetica e la verità di una scoperta antropologica di 33 anni fa: Eva Mitocondriale, la donna di 200 mila anni fa alla quale i sostenitori di questa teoria fanno risalire una buona parte del nostro patrimonio genetico. Insomma, la nostra Dea Madre, molto terrigna.