La filosofia di Tolkien: dagli Hobbit a San Tommaso

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Foto di Pau Llopart Cervello da Pixabay

Dell’immaginario tolkieniano, ben pochi angoli sono rimasti esenti da analisi.

La produzione del professore di Oxford – sia quella pubblicata in vita, che quella consegnataci postuma dal recentemente scomparso figlio Christopher, suo curatore ed erede – ha offerto agli esperti e agli appassionati del mondo dell’Anello una messe pressoché ininterrotta di materiali di studio, ormai in buona parte assurti al rango di classici della letteratura universale.

Eppure, se alcuni aspetti come quello ad esempio religioso, oppure mitopoietico, sono stati negli ultimi anni additati come centrali per la comprensione dell’universo tolkieniano, paradossalmente sono stati lasciati indietro alcuni settori parimenti fondamentali, come quelli economico e politico.

Non che Tolkien abbia inteso scriverne direttamente all’interno di romanzi come Il Signore degli Anelli: ciononostante, è proprio alla loro ricerca che Luca Fumagalli, autore del saggio La società della Contea. Appunti sulla filosofia politica di J.R.R. Tolkien (Nova Europa Edizioni, 2019, 164 pagine, euro 20) parte per arrivare a disquisire del substrato filosofico che sta alla base di molte delle intuizioni e realizzazioni del grande bardo dell’epopea Hobbit.

La società della Contea. Appunti sulla filosofia politica di J.R.R. Tolkien

Proprio la patria dei Mezzuomini, ricorda Fumagalli, non è affatto – o solamente – la trasfigurazione più o meno romantica ed estetizzante dell’Inghilterra rurale tanto amata da Tolkien. Essa è anche un vero modello di intermundus premoderno, dove si realizzano dinamiche sociali ed economiche che richiamano gli ideali di organicità medievale – dove l’ordine del mondo discende in prima battuta da Dio – postulati da San Tommaso d’Aquino. E nel quale al bene comune è sacrificato proprio quell’istintuale egoismo individualista che il Professore individuava come radice della bramosia cristallizzata nell’Unico Anello. Non una mera lode del buon tempo antico, insomma, ma l’indicazione di ciò di cui il pensiero del XX secolo – autore del trionfo criminale della tecnica – necessita per tornare sui suoi passi.

Uno studio, La Società della Contea, che restituisce parte del Tolkien “uomo” più vero, deideologizzato, e per questa ragione ben più complesso di quanto letture di parte vecchie e nuove abbiano inteso raffigurare.

Aiutano a inquadrare nella giusta dimensione i contenuti del saggio due contributi, entrambi meritevoli di attenzione: la prefazione ad opera di Paolo Gulisano, e la conclusiva postfazione dello studioso di cose tolkieniane Joseph Pearce.