Almeno una volta nella vita bisogna fermarsi a riflettere, ci si trova a cercare la profondità delle cose che contano. In un attimo, l’acqua che bagna il viso diverrà luce sotto il sole, una sensazione, una carezza sfiorata, una benedizione, un soffio di vita, un ricordo, un brivido, a volte delle venature segnate sulla pelle.
Ognuno di noi ha la sua Gerace, con le sue cento chiese, dove fermarsi, ponderare e pregare. Ciascuno ha i suoi monumenti immacolati o segnati da ricordi insiti nella sua ricerca costante della nostalgia. Si cerca quell’attimo che ci farà catapultare nell’infanzia anelando l’idea del tempo, che non è che l’estensione della nostra anima, perché siamo questo: costruzioni di infiniti ricordi, di presenti evanescenti, di sogni futuri ed incerti. È forse questo ciò che ci vuole svelare Francesco Maria Spanò, giurista e direttore delle risorse umane dell’Università Luiss Guido Carli, nel suo libro Gerace. Città Magno-Greca delle Cento Chiese edito da Gangemi editore International Storia.
Questo volume “nasce da una malattia che ho superato”, rivela Spanò. “Dopo questa vita nasce un nuovo modo di vedere il quotidiano e la propria storia. Quando ci si scontra con la violenza della morte, si torna alle radici. È un flusso di memoria involontaria da un fatto e Marcel Proust. Oggi Gerace è vista come un faro, una luce”.
Il libro è il racconto di un viaggio dell’autore tra inconscio e memoria, che si estende e si snoda come un elastico che lo porta e lo riporta lungo una provincia della Calabria che si scopre essere piena di vitalità umana, sociale e culturale.
In verità, diventa la metafora di un percorso. Un’oscillazione tra ciò che si vorrebbe che fosse stato, in un percorso inconscio volto all’immedesimarsi nella memoria infantile riportata in un presente più vicino al domani, piuttosto che al futuro. Più che un desiderio che si allontana dalla verità. Ma qui sta il bello, quel desiderio supera ciò che è e ciò che sarà, perché la vita deve essere bagnata, lavata, purificata dalle limpide acque del sogno e della speranza. Ecco, la speranza è vitalità e bellezza.
Un volume in cui si fondono diverse immagini e racconti di una “forma” come una sorta di colonna vertebrale dell’anima di tutti noi, avvolta sull’asse di carico di tutta la costruzione di un pensiero, con l’aspetto di un corpo unico, vibrante, che si materializza da questa combinazione tra ricordo e immagini immortalate dall’obiettivo di una macchina fotografica animata da sentimenti e desideri, di tutta una vita sospesa in un passato di proustiana memoria.
Si ha la sensazione di inoltrarsi nei nascondigli dell’inconscio, esplorando incessantemente lo spazio tra visibile e invisibile, scavato nell’Io.
L’autore, nel tentativo di lasciare intravedere le strutture più interne della sua anima, come la visione attraverso il buco della serratura, vive o inizia un nuovo percorso di vita.
Nonostante sia una raccolta di immagini in bianco e nero che svelano nel loro particolarissimo racconto la presenza del colore, le donano un’inconfutabile grazia, sino allo sfiorare quell’idea di bellezza e profondità.
L’autore infonde l’energia primaria direttamente connessa al carattere proliferante del legame con la sua terra, con la vita, con le sue radici profonde, forti ed antiche.
Utilizza tramite i suoi racconti un colore brillante, per definire il valore assoluto della vita.
Un tenero viaggio tra le onde delle riflessioni interiori più profonde. È un libro che vive e fa vivere, un interscambio inseparabile e tattile di emozioni, uno strumento per compiere un percorso dell’anima. Di qualsiasi anima.