La notizia del recente raggiungimento dell’accordo sul contratto della scuola, a proposito auguri, ci spinge a qualche amara riflessione sul contratto dei medici del Servizio Sanitario Nazionale.
Divide et impera, dividi e comanda. A dare ascolto alla locuzione latina, che sebbene non si sa a chi attribuire con certezza (viene riferita a Luigi XVI di Francia, Diviser pour regnèr e ancor prima a Filippo il Macedone) è il modo migliore per esercitare il potere ed ovviamente mantenerlo, facendo leva sulla capacità di determinare rivalità e di aumentare il livello di litigiosità, già di per sé sin troppo manifesto nel genere umano.
Nella locuzione però appare chiaro che il progetto divisivo viene ideato da chi il potere lo detiene e punta a consolidarlo.
Se volessimo traslare la locuzione in epoca moderna, ed applicarla ad un ambito che in apparenza sembra non esclusivamente politico, potremmo rimanere perplessi rispetto ad una osservazione apparentemente banale. La categoria medica si lamenta di essere senza contratto da dieci anni. Ha protestato sotto vari governi, ha scioperato anche se percentuali e numeri assoluti di adesione ruotano come un balletto alle Folies Bergère, ha diffuso manifesti esplicativi delle proprie ragioni, comunicazioni finalmente chiare ad esprimere ragioni altrettanto chiare, ciò nonostante la categoria medica risulta nei fatti inascoltata. Eppure di argomenti ce ne sono davvero tanti: la riduzione del potere di acquisto per il mancato rinnovo contrattuale, la carenza degli specialisti, i casi di presunta o reale malasanità, il richiamo in servizio dei pensionati, l’aumento della burocratizzazione del sistema, i turni di lavoro troppo spesso massacranti, le aggressioni sempre più frequenti agli operatori, la fuga dei nostri medici all’estero, la chiamata di medici stranieri da Paesi dai quali una volta si arrivava via nave o via terra ma in forma clandestina ed oggi si arriva con comoda chiamata da parte di qualche Asl o Azienda sanitaria.
Categoria medica inascoltata. Perchè è debole? Perchè è divisa in troppi sindacati? Perchè incapace di esprimere una piattaforma – si chiama ancora così l’insieme delle rivendicazioni da rappresentare al tavolo di trattativa – unica prima ancora che unitaria? Perchè scarsamente propensa a scendere veramente in piazza e ad aderire concretamente ad uno sciopero con la conseguente decurtazione economica della giornata non lavorata? Perchè magari fa proclami e poi bussa alle porte delle segrete stanze per suggerire ed ottenere interessate modifiche a quella piattaforma che si è definita unitaria nelle riunioni preliminari? Perchè parcellizzata da mille interessi contrastanti tra tempo pieno e part time, libera professione intramoenia, extramoenia, allargata e a volte pure sottobanco? Perchè polverizzata dal confronto con altre categorie che quando scendono in piazza lo fanno veramente, riempiendo la piazza e magari ottenendo pure l’appoggio dei cittadini o quanto meno di quelle associazioni che i cittadini affermano di rappresentarli? Perchè incapace di dialogare con la classe politica intesa come tale e non come portatrice di interessi esclusivamente elettorali per il cui soddisfacimento ben cosa ormai possono fare i medici ospedalieri e del territorio?
Ed a volere essere un po’ cattivi verrebbe da scrivere che la marginalizzazione della categoria medica, oltre che frutto di scelte scellerate della programmazione e della politica, trae origine da una sorta di autolesionismo della categoria stessa, incapace forse di rinnovarsi nella comunicazione, nella capacità di fare passare e di fare accettare il proprio messaggio. Incapace anche di rappresentare alla vasta platea di pazienti-malati-cittadini-utenti, e chiamateci come vi pare, che nonostante qualche affarista, dedito più ai propri affarucci che alla attività di diagnosi e cura, la categoria di per sé è sana.
Al dottor Biagio Papotto, Segretario Generale della Cisl Medici Nazionale, abbiamo chiesto una opinione su quello che sta succedendo e su ciò che si percepisce all’interno della categoria dei medici.
E’ un dato di fatto che la nostra categoria sia marginalizzata ma è un dato di fatto che nell’insieme stiamo parlando di una categoria che si occupa quotidianamente della salute dei cittadini raggiungendo vette di eccellenza che purtroppo non fanno notizia.
Poi certo occorre sempre tenere conto delle possibili degenerazioni che possono derivare dalle eccessive stratificazioni e pesature degli incarichi, cosa che può favorire il verificarsi di situazioni non trasparenti per quanto riguarda gli avanzamenti di carriera che nella realtà pratica corrispondono non solo all’ottenimento dell’ambito primariato, ora si dice Direttore di struttura complessa, ma anche all’ottenimento della qualifica di responsabile di una delle strutture definite da orribili acronimi quali UOS e UOSD, troppo spesso caselline prive di autentica operatività ma cariche di soldini e di aspettative, molto utili da mettere su un ricettario come corollario di altri titoli specialistici.
Lei dottor Papotto sta facendo un chiaro riferimento ai cosiddetti Atti Aziendali o sbaglio?
Non sbaglia.
Parliamo di Atto Aziendale, di quello che molto pomposamente viene definito,
sin dal 1999, lo strumento che disegna l’organizzazione e le articolazioni di
governo dell’Azienda sanitaria e i suoi rapporti con gli Enti locali, la
Regione, le rappresentanze dei cittadini.
Ed altrettanto pomposamente ne sottolinea, tra gli aspetti fondamentali,
la partecipazione dei professionisti alle scelte strategiche aziendali, le
funzioni di ricerca e innovazione, l’organizzazione distrettuale e
dipartimentale.
Mi chiedo quanti credono veramente che l’Atto Aziendale di una Asl sia frutto di scelte logiche e coerenti oppure derivi da continui compromessi, continue trattative con la politica, continue sollecitazioni, e qui mi fermo con i sostantivi e gli aggettivi, aventi due obiettivi fondamentali: garantire la continuità di qualche logica nepotistica e continuare a garantire, e possibilmente potenziare, punti di erogazione assistenziale o pseudotale anche nelle più sperdute località che magari, proprio in quanto tali, necessiterebbero di un potenziamento delle reti di trasporto verso l’ospedale di riferimento considerato che ormai gli stessi ospedali faticano ad erogare servizi stante la grave carenza di personale medico e non solo.
La sua è una diagnosi impietosa e grave.
E’ grave che i medici del servizio pubblico siano senza contratto ed è ancor più grave se si considera che l’attuale assetto normativo appare fuori tempo sia per il mantenimento del termine “dirigente”che suona tanto come una presa in giro, sia per i paletti, i lacci ed i laccioli che stanno strangolando una categoria che, data la scarsità delle risorse umane, ormai non trova neanche più attrattiva la remunerazione derivante dalle cosiddette prestazioni aggiuntive ovvero quelle ore in più che vengono prestate dai medici per garantire la copertura dei turni. Poi certo ci sono professionisti validi e che si sacrificano, lavorando peraltro troppo spesso in ambienti fatiscenti, e ce ne sono altri che possono non brillare per efficienza ma questa è caratteristica di ogni attività lavorativa anche se, indubbiamente, ci lascia l’amaro in bocca quando accade in campo sanitario.
Dalle parole del segretario generale della Cisl Medici Nazionale emerge il grido di allarme che è un intero sistema che sta scoppiando ma sembra non esserci consapevolezza. Forse c’è chi è convinto che tanto siamo in Italia ed alla fine le cose si aggiusteranno.
Con la salute però non si scherza.
@vanessaseffer