

Chissà cosa avrebbe detto Sigmund Freud, il “padre della psicanalisi”, se in un tempo ucronico avesse ricevuto la missiva entusiasta di un gruppo di artisti surrealisti desiderosi di presentargli la produzione d’arte di Natascia De Sanctis.
Probabilmente avrebbe risposto loro come rispose nella realtà storica, perché è vero che, in illo tempore, i surrealisti parigini con a capo Andrè Breton avevano riconosciuto la psicanalisi come…madre della loro arte ed è vero che proprio Sigmund Freud, in una lettera indirizzata a non-ricordo-più-a-quale-suo-collega, di fronte a tale entusiasmo non richiesto si era sentito quasi a disagio, riconoscendo per altro la sua pressochè totale incompetenza in campo artistico (vero è però che poi lui stesso toccò l’arte con il saggio Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci).
In un tempo ucronico, del resto, se proprio proprio di inconscio si vuol parlare, allora il destinatario di quella fantomatica missiva su Natascia De Sanctis non sarebbe stato Freud ma il suo “avversario”, Carl Gustav Jung, che rispetto a Freud era più mistico e forse aveva qualche frequentazione in più con l’arte visiva.

Ma chi è Natascia De Sanctis? Un’artista OFF a tutti gli effetti, un’artista aliena dal mainstream e anche dal circolo rappresentativo dell’arte che sopravvive o vive al di sotto del suddetto mainstream –cioè il 90% delle mostre e degli artisti che vedete in Italia.
Lei, Natascia De Sanctis, è molto…”mistica”, i suoi disegni a matite colorate e rapidograph rimandano sempre a un universo, come dire?, extrafenomenico e una parte ben precisa del suo operare è totalmente calata in quello che, nella mamma della psicanalisi (cioè la Scuola della Salpetriere di Charcot, che ispirò a Freud il metodo dell’ipnosi poi abbandonato) abbiamo visto essere il dettato sonnambulico e che nello specifico delle serie di disegni di Natascia De Sanctis prende la forma dell’automatismo psichico (rieccoli!, i surrealisti) occasionata dalla “cecità” autoindotta (leggi: disegna con gli occhi chiusi). Nel suo disegnare ad occhi chiusi è come connessa con il suo Daimon, il maestro interiore, l’oscuro inconscio.

Iniziamo da qui. I fogli neri (neri come l’inconscio) ad occhi chiusi presentano tutti delle bruciature ai bordi, realizzate con uso della candela.
Il soggetto raffigurato è un coacervo segnico colorato che, non fosse per la sua assoluta ingovernabilità, potrebbe ricordarci certe sperimentazioni di uno Scanavino o Fautrier (non inorridiscano i soloni con la puzza sotto il naso! Per citare Jessica Rabbit con licenza poetica, “non è colpa sua, è che lei disegna così”): «senza sapere quale colore sarei andata ad utilizzare, ho fatto emerge il mio inconscio fatto di istinto, emozioni, pensieri, simboli ed archetipi, rendendo manifesto l’immanifesto».
La De Sanctis disegnando ad occhi chiusi produce linee e forme simboliche ex post interpretabili come traduzione in linguaggio visuale del linguaggio dell’inconscio, non l’abisso di una psiche individuata e singola bensì l’inconscio colletitvo: tu chiamali archetipi se vuoi (ed ecco perché forse qui si scomoderebbe Jung e non Freud).
Le eterne domande, “Chi siamo? Dove andiamo? Qual è il senso della vita?” potrebbero avere qui la risposta, nel senso che è tutto dentro di noi: del resto, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? È il titolo di una famosa e controversa opera di Paul Gaugain. Lui, la risposta, se l’era data così, con un ritorno al “primitivo”, all’ancestrale. Cosa che non manca nemmen qui, se guardiamo questo foglio a occhi aperti:

Morte e vita, come vediamo qui

Ma anche suggestioni inquietanti, con questo teatro che, nella sua algida perfezione minimale, spoglia, di ghiaccio e lapis, così come vediamo il soggetto su carta, rimanda a un altro abisso, non tanto dell’inconscio -almeno non più qui, in queste carte a occhi aperti, quanto di un tempo inesistente, una specie di scuola di danza nella foresta nera come nel film Suspiria di Dario Argento.

E il riferimento cinematografico non è assolutamente casuale: questi disegni a volte un po’ naive non avrebbero stonato nelle inquadrature di un regista che in più di un film rese un o più quadri protagosti della storia, il succitato Argento. Quadri che hanno sempre avuto un “ruolo” di rilievo, si pensi ai volti dipinti dall’emulo di Enrico Colombotto Rosso nella scena dello specchio in Profondo Rosso o al quadro del pittore Consalvi, che a differenza dell’altro esiste solo nella realtà romanzata del film (L’uccello dalle piume di cristallo): i disegni della De Sanctis hanno questa caratteristica che li accomuna, per “somiglianza di famiglia” diciamo,a quei quadri che sembrano arrivare da nessun luogo e nessun tempo, creati da artisti “impossibili” e che nella apparente semplicità dei tratti sembrano contenere una storia che addirittura li trascende.
Del resto, il cinema ritorna in un suo progetto fortemente connesso al celebre Matrix dei fratelli Wachowski, che non è altro che la “spiegazione” in chiave narrativa della disputa metafisica per eccellenza sull’esistenza del mondo esterno: realtà o illusione? Storia reale o storia narrata da altri e “ficcata” nelle nostre teste mediante un esperimento che nella teoria della filosofia era stato fatto per davvero? (per la cronaca, si tratta del breve saggio Cervelli in una vasca del filosofo americano Hilary Putnam): il progetto della De Sanctis, detto in breve, è la “trasfigurazione” ologramamtica 3D dei suoi disegni 2D. Anche la tridimensionalità come la bidimensionalità è illusoria: le sfumature dei disegni azzerano i confini, idem di conseguenza lo spazio- tempo e quindi la ragione-che-conosce, qui consioderata come illimite da uperare per la discesa ( o la salita?) negli abissi o nei cieli dell’inconscio. Del resto, Come in alto, così in basso, secondo Ermete Trismegisto.

Une deriva “mistica” dunque, di questi disegni di Natascia De Sanctis, perché gli elementi simbolici ravvisabili nei suoi fogli neri o bianchi sembrano dei gate per l’inconscio e il risveglio collettivo, al punto da rivelarsi per quello che in realtà sono nonostante il “quadro” che ne abbiamo fatto (Dario Argento!, pure l’immagine grandguignolesca dei cervelli in una vasca!): un inno alla -vera- vita.