Elvire Jouvet 40, quel rapporto profondo tra allieva e maestro

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ph. Fabio Esposito

Elvira ci conduce all’interno di un teatro chiuso, proponendo una sorta di “gioco” di teatro nel teatro.  Lo spettatore si trova così catturato quasi a spiare tra platea e proscenio, con un maestro e un’allieva davanti a un sipario che non si alzerà mai.

Così Elvire Jouvet 40, il diario di lavoro in cui Brigitte Jaques trascrisse le “Sette lezioni sulla seconda scena di Elvira nel Don Giovanni di Molière di Luis Jouvet a Claudia”,  è la trama su cui Toni Servillo ha costruito il suo spettacolo, da lui diretto e interpretato insieme a Petra Valentini, Francesco Marino e Davide Cirri. I costumi sono di Ortensia De Francesco, le luci di Pasquale Mari, il suono di Daghi Rondanini.

Ci si trova davanti ad un palcoscenico spoglio, solo un tavolinetto, due sedie, una lampada e una piccola pedana, come se questo vuoto servisse a lasciar più spazio alle parole.

Le luci sono tenui e gli attori si servono delle prime file di platea, del resto l’ambientazione è in un teatro vuoto dove il maestro prepara l’allieva alla prova finale dei tre anni di corso di recitazione. Due file di poltrone sono coperte da teli bianchi, quasi ad erigersi come un muro di separazione tra le due realtà, quella di Jouvet e quella del pubblico che assiste alla piéce.

L’allieva Claudia è decisa a dare il meglio di sé, ma si confronta con un regista profondamente esigente, che non fa che interromperla nel filo del suo monologo, ponendo interrogativi e aprendo voragini di senso.

ph. FabioEsposito
ph. FabioEsposito

Nella scena Elvira/Claudia torna da Don Giovanni non più arrabbiata per le sue continue intemperanze, ma investita come da una luce sacra. Quel che più risalta è il rapporto che lega l’allieva al maestro, in cui è contenuto il senso stesso del teatro. Sette mesi di prove, dal 14 febbraio al 20 settembre del 1940, per costruire un personaggio e mettere a punto le battute, fare e rifare, correggere e discutere, per raggiungere una costruzione interiore di quella Elvira che possa offrirsi in tutta la sua “realtà”.

Del risultato finale non sappiamo, i nazisti impedirono alla giovane ebrea Claudia di essere Elvira e Jouvet lasciò la Francia fino alla fine della guerra. Trent’anni dopo Strehler che diresse Elvira nella stagione 1986/87, con Servillo le riflessioni sul teatro e sul ruolo dell’attore ritrovano una stringente attualità.

Trovo – scrive Servillo nelle note di regia – le riflessioni di Jouvet particolarmente valide oggi per significare soprattutto ai giovani la nobiltà del mestiere di recitare, che rischia di essere svilito in questi tempi confusi”.

Fino al 12 marzo in replica al Teatro Niccolini di Firenze, per vivere un’emozione senza tempo.