Un ossimoro: nell’epoca in cui tutti parliamo di libertà conquistata, almeno per il mondo occidentale, di diritti e doveri oramai condivisi che portano ad una apparente uguaglianza tra le persone, e di confini frantumati grazie alla rete, siamo in realtà prigionieri. E non voglio raccontare della prigionia a cui la stessa rete, internet, ci sottopone; voglio parlare del pregiudizio, un comportamento intellettuale che sta diventando la nostra vera galera. Siamo talmente oppressi da notizie, scenari internazionali che cambiano o da rapporti personali che ci deludono, che ci difendiamo arroccandoci nei nostri pensieri costruendo pregiudizi spesso dettati da fatti emotivi.
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Il pregiudizio si porta in dote la paura del prossimo, è un’opinione preconcetta capace di farci assumere atteggiamenti ingiusti; modella quindi i nostri comportamenti. E’ una difesa aprioristica che compromette l’esperienza, base, insieme alla conoscenza, della creazione di ogni opera d’arte che sia musicale, artistica o cinematografica.
Nell’epoca dei “non confini“ fisici, costruiamo barriere dentro noi stessi che bloccano la creatività. E’ il male della contemporaneità, il pregiudizio talmente insito in ognuno di noi che, forse, si deve temere di più chi il pregiudizio dice di non avere
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