Abbiamo partecipato attivamente alla quarta edizione de I Teatri del Sacro a Lucca. Si presentano numerosi spettacoli, che vengono selezionati da un rigoroso bando, prodotti e poi presentati, distribuiti nei vari circuiti del territorio nazionale. Sono rappresentazioni molto diverse tra loro con un tema libero attinente e ispirato al sacro.
Di quale drammaturgia stiamo parlando? Non ci sono testi o autori in particolare che trattano in maniera specifica questo tema. La direzione del Festival scommette su particolari e originali evocazioni che possano provocare nello spettatore e negli attori una certa attitudine riflessiva alla spiritualità: religione e relazione infatti hanno molto in comune. Un teatro che non imiti la vita o il vuoto gesto rituale, ma che possegga in sé una qualità: la vita. Quello che si percepisce assistendo a questi lavori, allo splendore dei contesti in cui vengono allestiti, alla civile e accogliente organizzazione, è che siamo difronte a operazioni oneste, necessarie, concepite e fatte da professionisti o amatori che giocano col teatro vivendolo nel profondo.
Nelle regie che si susseguono vi può essere un ribaltamento, una peripezia, una visione di taglio rispetto al sacro (tema generale comunque soggetto a mille interpretazioni). Gli spettacoli visti a Lucca appaiono efficaci nella loro semplicità, non racchiusi in costruzioni complicate o astratte come spesso accade registrare nell’abusato e autoreferenziale teatro di sperimentazione.
Nell’edizione di quest’anno si è celebrato un proficuo gemellaggio con Napoli, la città che più di ogni altra è sinonimo di teatralità. Anche qui: bando agli stereotipi e alle generalizzazioni. Il peso della vita partenopea, la violenza da strada, la musicalità della lingua, possono librarsi con la narrazione, la fantasia, la scaramanzia, la preghiera, a patto che vi sia anche l’autoironia.
Arte sublime e difficile il teatro, che attraverso la relazione, il rapporto tra chi lo vede e chi lo fa, può restituire ancora uno sguardo autentico, sorprendente, leggero e profondo sul contemporaneo. La Cultura, in questi territori in particolare, può essere percepita dai giovani artisti come un ottavo sacramento. In questa pluralità napoletana da segnalare due lavori:”Pe Devozione liturgie sacre e profane” un laboratorio con le donne a Forcella a cura di Marina Rippa e Alessandra Asuni e “Io, mia moglie e il miracolo” racconto surreale sulla presenza/assenza di una figlia in un paese senza luogo in un quadretto famigliare poco edificante, popolato da figurini di una società precaria, violenta e incapace di vedere i miracoli; scritto e diretto da Gianni Vastarella, questo spettacolo continua il viaggio produttivo del gruppo dei ragazzi di Scampia Punta Corsara, in un percorso di crescita della Compagnia, sempre in evoluzione, che si libera di tutto lo stupidario didascalico e retorico sulla napoletanità verace, mantenendo della Tradizione, la forza vitale del gesto, del corpo e della parola.