Non ha ancora fatto breccia nell’opinione pubblica e nei Palazzi della politica la piena consapevolezza dell’essenza della disabilità.
La scomposizione letterale del termine ci pone di fronte a una duplice realtà: la “mancanza di qualcosa”, messa in risalto con il suffisso dis; l’ “essere capace di, capace in” evidenziato da abile. Ovvero, si tratta delle capacità che ogni essere umano possiede, indipendentemente dalla sua particolarità, e in cui ognuno di noi porta il suo “mondo”, il suo vissuto personale, il suo carattere, il suo essere unico e speciale.
Se ci si rende conto che l’uomo costruisce la propria identità e storia attraverso il rapporto con l’altro, e che gli esseri umani coesistono a condizione di riconoscersi tutti nel loro esseri diversi, va purtroppo constatato che la cultura ancora dominante è quella della cancellazione della diversità, dell’esclusione che discrimina fino a segregare.
In questi anni alcuni passi in avanti sono stati fatti, almeno dal punto di vista lessicale: la trasformazione della parola handicap, che dava l’idea di menomazione, impedimento, in diversamente abile va in questa direzione, ma non è sufficiente.
E’ necessario eliminare gli svantaggi che la struttura e l’organizzazione della società pongono alla disabilità, passando dalla cultura dell’handicap a quella della normalità, in cui ogni essere umano si trasforma in risorsa positiva, patrimonio di cultura, attitudini, vitalità.
La cultura, con i suoi eventi e con i suoi spazi, riveste nella società contemporanea un ruolo primario per ogni persona, in termini di educazione permanente, di piacere, di intrattenimento, di inclusione, coinvolgendo diversi e molteplici ambiti di crescita individuale, collettiva e sociale che toccano aspetti artistici, espressivi, estetici, emotivi, relazionali, di ben-essere.
La cultura ha la responsabilità sociale di essere al servizio della pluralità e diversità degli utenti e di identificare e soddisfare bisogni espressi e latenti. Se il diritto al suo accesso è negato o ridotto, è compromessa la piena ed effettiva partecipazione su basi paritarie di molte persone in relazione al loro stato di salute o provenienza sociale.
La disabilità è una condizione sempre possibile nella vita di ciascuno di noi, non solo per coloro che già si occupano di persone diversamente abili per motivi professionali, nelle attività di volontariato o perché direttamente coinvolti in esperienze personali o familiari, ma anche per gli abili. Il destino può colpire, senza alcuna prevedibilità o equità, e di questo andrebbe tenuto conto ogni volta che si pensa all’uomo e ai suoi diritti, all’educazione, all’elaborazione di regole e leggi, alla costruzione degli spazi pubblici, all’accessibilità sociale, alla definizione delle opportunità.
La persona con disabilità potrà diventare un soggetto socialmente attivo e risorsa positiva della comunità solo se elimineremo in maniera risolutiva qualsiasi ostacolo giuridico, fisico, morale e sociale che tenda a isolarla, abbattendo il pregiudizio e la negligenza che nascondono e umiliano.
Al di là del pietismo o dell’eroismo, è necessario che il Palazzo e tutti noi si prenda esempio da coloro che combattono quotidianamente per il rispetto della propria identità nell’oltrepassare le Colonne d’Ercole del mondo conosciuto.