Ci sono voluti 9 anni, alla fine la Triennale di Milano ha battuto lo Stato. Sembra un paradosso, ma non lo è. La Triennale è una delle poche fondazioni di partecipazione – a cui partecipano enti pubblici (Stato, Regione, Comune) a fianco di privati – che funziona bene e come fondazione dovrebbe essere considerata un ente privato. Cioè, non sottoposto a quei legacci pubblici che impediscono una gestione ottimale dal punto di vista dell’operatività e dei ricavi. Per esempio, non essere inclusa nella famigerata lista Istas dentro la quale figurano insieme alle amministrazioni locali anche le fondazioni culturali. Ed essere inclusi in questa sorta di club, significa essere sottoposti a tutte le norme più stravaganti di (finta) spending review che si applicano ai Comuni, perfino a quella che impone un risparmio dell’80% su mostre e comunicazione. Immaginate l’ipotesi di applicare una tale norma alla Triennale che è nata proprio per organizzare mostre.
Ebbene la Triennale aveva deciso di adire al Tar. Aveva vinto. Ciononostante i ministeri competenti (della Cultura e dell’Economia) avevano fatto ricorso, non si sa con quale idea se non quella di impedire di far funzionare le fondazioni di partecipazioni che loro stessi avevano creato. Ora il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza che riconosce la Triennale come istituzione culturale privata, ancorché di proprietà pubblica. In questo modo viene garantita l’autonomia operativa, nel rigoroso rispetto delle leggi, che le ha permesso di crescere in tutti questi anni. Il patrimonio netto della Triennale che nel 2005 era di 2.756.490,00 euro, nel 2014 ha raggiunto 3.854.284,00. Di converso, il finanziamento pubblico è sceso al 21% (3.143.296,00 euro) a fronte di un bilancio di 14.907.110,00 euro. Non male.