Impossibile definire con una sola espressione l’arte di Angelo Ventimiglia, prossimo ingegnere col talento della Pittura. E’ quella di antichi Padri, che si mescola con una visione contemporanea e, molto spesso, futuristica (sia da Futurismo che da avvenirismo). Tecniche miste, quelle utilizzate da Ventimiglia, il giovane artista calabro dell’Altocosentino jonico con profumo d’anima arbereshe e passione per la cultura araba, per opere grondanti passione e sensualità, figlie delle onde del Mediterraneo e delle grotte dell’ultima coda d’Appennino. Senti il vociare dell’arrivo di chi sbarca e il silenzio della paura di chi fugge e si rintana nel ventre della terra. Senti il tintinnìo delle monete alla forgia e lo scalpellìo sul marmo pario delle colonne del tempio. Avverti il calore materno del ventre e il gelo matematico della mente, se ti rapisce quel suo quadro, appeso o poggiato. Fiducioso il tratto, che nasce dal calcolo e si abbandona al lascivo andare del pennello sulla tela. Preciso e coraggioso lo sbalzo sul metallo, che trasforma il quadro in un progetto tridimensionale. Una sorta di corpo nuovo, che pretende di scappare dalla parete per imbarcarsi, migrante, verso più lontane sponde.
Temevo di non uscirne incolume, dal suo atelier. Le ultime opere erano tornate da poco da Venezia e Firenze: avevo atteso qualche settimana prima di incontrarlo. Pretendevo di conoscere quelle “vite” in viaggio. La sensazione è stata forte. L’ho sentita veramente, la voce greca del mare, e mi sono inebriato di antichi balsami, ma anche lontani mondi che saranno scoperti domani. Una specie di inevitabile trance, figlia di quello che l’artista chiama “una sorta di Meta-morfismo” che riconosce le proprie radici nel classicismo greco, ma si impone di essere in continua evoluzione. Quasi a difendere le traballanti sorti dell’attuale Calabria, non più Megale Ellas, non ancora del tutto risolta. E libera.
“Ogni momento è quello giusto per guardarsi intorno e lasciarsi ispirare dai profumi e dai colori della propria terra.” Come dire che solo l’Arte può spezzare le catene del malvivere, del malaffare, della malapolitica. Quelle monete antiche, dunque, recuperate e incastonate nei quadri, diventano, così, la speranza di futura ricchezza a riscatto di un presente bastardo e senz’anima. Tante le esposizioni delle sue opere. Attualmente, esposte nella Sala Mostre dell’Università della Calabria, a Cosenza, per “Identità”. Fino al 30 dicembre 2014.