Un nuovo inquietante giardino dei ciliegi

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il gioardino dei ciliegiLa scena di Antonio Fiorentino per la nuova edizione del Giardino dei ciliegi firmata da Giuseppe Di Pasquale per lo Stabile di Catania si condensa cromaticamente come uno spazio bianco sporco ricamato di antica fuliggine. Coi contrafforti delle arcate imprigionati in pesanti lenzuoli di cellophane che di primo acchito fan pensare allo sgombero dei pilastri di sostegno. Al posto dei quali, una volta azzerato ante litteram il giardino stesso, i tronchi rimasti pare abbiano momentaneamente  sostituito l’architettura di interni un tempo predisposta con tanta cura. Un’impressione che sembra accreditata fin dall’inizio col pittoresco bric-a-brac degli infelici costumi di Elena Mannini che, scampati da un incendio scoppiato in un mercatino rionale, sono ahi noi destinati ad addobbare il celebre defilè dei fantasmi giunti dall’estero a rimirare le anime morte del loro gaudente passato. Come se, in questa rilettura sensibilmente vivida ed armoniosa, i sognatori falliti evocati da Cechov ben centodieci anni fa, fossero d’improvviso divenuti i lacerti sconsolati di Beckett, da sempre dannati a sognare l’avvento del tetro Godot che li ha creati solo per distruggerli. Eccoli quindi davanti a noi a testimoniare il dissesto senza scampo che presto li travolgerà dal primo all’ultimo senza nessuna possibilità di riscatto questi personaggi già morti che, a differenza di quelli creati da Pirandello, han già avuto la condanna da parte dell’autore di reiterare il castigo senza fine a lasciarsi contemplare in eterno. Ma dove? Facile rispondere dal momento che possono esistere soltanto sul carnet nerofumo degli esuli dal mondo.

Regnano infatti indecisi, solo a tratti confortati dal raffinato disegno musicale di Mazzocchetti, tra sale polverose simili ad antri e paesaggi cimiteriali in cui sono incerte persino le denominazioni che li connotavano. Dall’eterno studente Trofimov del suadente Angelo Tosto fino all’infaticabile mercante Lopachin cui Pippo Pattavina conferisce da maestro l’ambiguo fascino dei tempi nuovi. Poiché tutti han perso lungo la strada la patina decadente di quel romanticismo di maniera che li teneva in vita.
Ad eccezione della coppia fraterna incarnata con splendido aplomb dal Gaev disincantato dell’ispirato Gianpaolo Poddighe e della sognante ninfa Art Nouveau evocata con inimitabile stile da Magda Mercatali. Che qui le presta il tono inconfondibile di una trepida bambola di Norimberga schiacciata da un apparato di cui non comprenderà mai la barbara ascesa. In un contesto a tratti interrotto dagli imprevedibili giochi della maga matrigna Guia Jelo anch’essa malinconicamente segnata dal tramonto della classe che l’ha espressa. Dolentemente sovrastata dall’allampanato Firs di Italo Dall’Orto, gigante caduto abbattuto dagli anni testimone della morte di un’epoca. Prima che tutti sospirando si ritrovino immoti sul fondo nell’incubo senza tempo creato ad arte dal segno allucinato e fremente di Giuseppe Di Pasquale.

 
IL GIARDINO DEI CILEGI
di Cechov
Teatro Stabile di Catania.
Regia di Giuseppe Di Pasquale.
Catania, Teatro Verga fino al 7 dicenbre
Poi in tournée