Eugenio Barba e l’Odin, festeggiano 50 anni di attività
di Marta Calcagno Baldini
Grazie al Teatro Elfo Puccini, è oggi possibile assistere allo spettacolo, per la prima volta a Milano, “La vita cronica” dell’Odin Teatret, per la regia di Eugenio Barba, in scena fino al 25 ottobre. Più che di scena si potrebbe parlare di spazio: le panchine riservate agli spettatori sono disposte in file parallele sui due lati longitudinali della sala. Al centro una pedana. Gli attori, nei loro costumi raffinati ed espressione di culture lontane, norvegesi e non solo, sono concentrati e magici nel trasmettere emozioni e significati con i loro movimenti al pubblico: si esprimono in italiano, norvegese, francese, in inglese, in un mix di lingue che spoglia l’uomo della sua identità geografica e lo trasforma in un essere portatore di senso.
Una Madonna Nera, la vedova di un combattente basco, una rifugiata cecena, una casalinga rumena, un avvocato danese, un musicista rock delle isole Faroe, un ragazzo colombiano che cerca suo padre scomparso in Europa, una violinista di strada italiana, e due mercenari sono le figure che si incontrano e scontrano sul palco, pressati da guerre, disoccupazione, emigrazione. Ogni azione e ciascuno spostamento è portatore di un senso assoluto, che arriva all’essenza dell’umanità e i sentimenti puri, comuni a tutti: ci si trova davanti ad uno spettacolo che è più vicino al consumarsi di un momento religioso, in cui sono i significati a parlare, per un teatro che si rivolge al pubblico con tutta la forza della sua ritualità.
Il motivo che ha fornito l’occasione al Teatro dell’Elfo di invitare un artista tanto prezioso come Eugenio Barba e l’Odin, è il festeggiamento per i suoi 50 anni di attività: se lo spettacolo è in scena fino al 25 ottobre, fino al 26 si svolgono in diversi luoghi della città altri numerosi appuntamenti ( l’Odin Teatret è sempre attivo sotto diversi fronti oltre a quello teatrale: conferenze, dibattiti, presentazioni di libri….). Si potrà approfondire la poetica dell’artista a cui si deve la definizione di Antropologia Teatrale, ovvero lo “studio del comportamento scenico pre-espressivo che sta alla base dei differenti generi, stili, ruoli e delle tradizioni personali o collettive”, e il concetto per cui “la base pre-espressiva costituisce il livello d’organizzazione elementare del teatro” (“La canoa di carta”, Eugenio Barba). Sono idee fondamentali per capire la rivoluzione del teatro, avviata con Grotowskij, Kantor, e in cui Barba s’inserisce quando, nel 1965, crea in Norvegia il suo Odin Teatret, nonché il “Laboratorio Interscandinavo per l’attore”: un teatro performativo, di senso e non di narrazione.
Secondo Barba esiste un particolare, istintivo, automatico, uso del corpo che accomuna tutti gli attori di diverse nazionalità e che li porta, seppur in modi diversi, alla ricerca dell’”Alterazione dell’equilibrio”. Osservando e confrontando gli attori dell’Asia (Bali, Taiwan, Sri Lanka e Giappone) con i suoi dell’ “Odin Teartet”, Eugenio Barba nota che la base comune da cui partivano tutti i diversi movimenti, ognuno caratteristico di un tipo di teatro, era proprio la ricerca di un “equilibrio di lusso”: “Gli attori e danzatori asiatici recitavano e danzavano con le ginocchia piegate esattamente come i miei attori dell’Odin Teatret”. Il concetto da cui queste alterazioni partono è la ricerca di un movimento “deformato” rispetto a quello che tradizionalmente si compie per camminare e attraverso cui gli attori esprimono meglio il significato profondo che li porta ad esibirsi in pubblico. Tutto in scena conduce ad un senso: il corpo degli attori anzitutto, e poi la voce e i suoni, che diventano importanti aldilà del valore letterario delle parole e che sono usati come elementi fisici che compongono l’azione in scena, esattamente come i manichini e gli oggetti scenografici.