Presentata in anteprima la serie tv “Il Candidato”, la prima fiction italiana sulla politica
Il primo problema di Il candidato, la sketch comedy italiana più attesa del Roma Fiction Fest, è l’excusatio non petita dei suoi autori. «Non abbiamo ricevuto pressioni dalla Rai, sebbene siamo giovani e raccontiamo una cosa spinosa come la politica», ha detto uno di loro. MammaRai, che per adattarsi ai tempi è diventata crossmediale e ovipara, li ha raccolti dal web, dove avevano spopolato con Kubrick – una storia porno.
Che l’accusatio sia manifesta lo dimostra anche solo la presenza, nel cast, di Lunetta Savino, nei panni di una spregiudicata “esperta di comunicazione” del team impegnato nella campagna elettorale del signor Zucca (Filippo Timi), un inetto sprovveduto che si ritrova a fare da candidato fantoccio alle primarie di un partito – fortemente somigliante al Pd, dal momento che, colpo di scena, la gente vota lui, mandando a monte il mefistofelico piano del candidato vero. Come può venire in mente a dei giovani intenzionati a satireggiare sulla maniera di fare politica e sul concetto di politicamente scorretto (sempre così tanto di regime, nel nostro paese) di infilare nel cast la Cettina di Un medico in famiglia?
Lunetta Savino non è Antony Hopkins, che ha interpretato Quel che resta del giorno senza sembrare nemmeno per un momento Hannibal Lecter: lei continua a essere Cettina anche mentre indossa un tailleur e intesse spregiudicati intrighi di potere (come girare un finto clippino dove Zucca serve il rancio ai barboni per ingraziarsi il Tg3). Possibile che lasciando carta bianca a giovani autori, il risultato sia così liturgico, scontato, opaco e che, ancora una volta, il politicamente scorretto sia più corretto di un sacramento?
House of cards resta terra irredenta: speriamo che questo ennesimo fallimento nella conquista dell’agilità narrativa e della spregiudicatezza (quella amorale, non quella ammiccante al “bene per fare il male”) sia solo colpa dell’ingerenza Rai e che le pressioni ci siano state eccome, altrimenti dovremo credere che l’autorialità italiana, anche quella esplosiva che vuole squadernare le carte in tavola, del manierismo sistemico non possa fare a meno anche quando, per contratto, è libera di evitarlo.
Nessuna parola per le altre fiction in rassegna, tutte droga, servizi segreti, collusione mafiosa e bene che vince sul male. Dipinte pure queste come politicamente scorrette, ma tutte irregimentate nella tradizione della peggiore soap all’italiana, che resta sempre la vera e unica Santa Patrona del nostro Paese. Consolazioni? È improbabile che gli Usa subiscano un embargo: continueremo a goderci le sue serie televisive dopo cena e le nostre durante la cena, in sottofondo.