Il secolo bello di Livio Felluga, patriarca del vino italiano

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Livio Felluga-557x262-carusiMolte cose devo al grande ingegnere goriziano Vittorio Ranalletta, d’origine celanese come me, uomo nei miei riguardi tanto delicato, affettuoso e generoso da chiamarlo zio pur non essendo suo nipote. La più bella è l’amicizia con Elda Felluga, madre dei suoi figli Carlo e Letizia. Me la presentò al nostro primo incontro, nella sublime appartatezza di Brazzano di Cormòns. Elda e i suoi fratelli Maurizio, Andrea e Filippo, figli di Livio e Bruna, sono vignaioli e non devo certo dirvi io quanto in alto ne stia il nome nell’enologia italiana.

Ma il fantastico è che a far loro luce è ancora il padre, il patriarca fondatore che il primo settembre scorso, con moglie e figli accanto, ha doppiato il capo dei cent’anni e sabato prossimo, nell’Abbazia di Rosazzo e sulle sue colline, sarà festeggiato al modo di casa: con la presentazione del vino a lui dedicato, in edizione limitata e chiamato 100; un convegno su “Arte e impresa a tutela del paesaggio rurale”; e l’inaugurazione del Vigne Museum, ideato dal sommo Yona Friedman con Jean-Baptiste Decavèle e realizzato dalla Livio Felluga con l’intermediazione di Radioartemobile nell’ambito del progetto DAC (Denominazione Artistica Condivisa): una sorta d’iconostasi di cerchi metallici, uno spazio aperto che per ciò cambia col tempo, con le stagioni, ha solo accessi liberi, senza porte, votato alle fasi del vino, alla storia della vite, i grappoli, la loro trasformazione, le tecniche, il terreno, gli alberi che crescono attorno alla vigna e il cibo che diventa parte d’un lavoro che, per chi l’ama, non è più tale ma rito.

Così i Felluga, che da sempre in etichetta hanno un’antica carta geografica dei poderi di famiglia, sposano insieme luogo e frutti suoi: terra, paesaggio, vigna e vino: passato, presente e futuro che d’una famiglia diventano d’un territorio, il Collio, e del suo popolo, riferimento della sua memoria. Sulla collina del museo l’occhio va dalla Slovenia all’Austria e al Mar Adriatico. E’ il primo passo per avvicinare arte e impresa al paesaggio rurale, appunto; e mi sfrùculia di curiosità la voglia di vedere il documentario che Luigi Vitale, maestro visionario di fotografia e compagno di Elda, ha realizzato sulla sua nascita.

M’accorsi subito dell’amore di questa donna eccezionale e del suo casato non solo per quello di natura e artistico, ma proprio per il bello in sé, che s’esprime anche nel modo di camminare o di rivolgersi a un ospite. E lo sperimentai quando, senza che mai potessi immaginarlo (io che alla prima cena importante con Barbara, ben prima che li conoscessi, ordinai il loro Terre Alte) fui richiesto di tener a battesimo con Scarlatti e Liszt il Rosazzo, altro grande bianco di casa appena nato. Era il 5 di marzo del 2011 e rimandai all’ultimo minuto utile la partenza per un concerto a Valencia il giorno dopo, pur di riuscire a esservi presente.

«La natura se la ami ti vuol bene, non ti tradisce, ti ricambia. […] Non voglio spettacoli né fuochi d’artificio. Niente esplosioni, tutto viene da solo; perché io ho fatto solo che il mio dovere», disse Livio a Elena Commessatti nel commovente 50 anni di carta geografica. Storia di un viaggio intorno (Gaspari Editore, 2006). Le parole d’un uomo più grande del suo secolo.

Da Libero