Arance e martello e La trattativa. Uno è uscito durante il Festival di Venezia, l’altro arriverà in sala il 2 ottobre. Uno parla di un mercato romano che rischia di chiudere e di una piccola rivolta popolare, l’altro del presunto accordo tra Stato e Mafia. Due argomenti, due soggetti che, in teoria, non avrebbero bisogno di Silvio Berlusconi. E invece no, sia Zoro che Sabina Guzzanti non sono riusciti a fare a meno dell’ossessione più diffusa degli ultimi decenni: la berlusconite appunto. Una sorta di spiegazione a tutto, la causa di tutti i mali (che, semmai, sarebbe effetto), il rifugio sicuro di una sinistra intellettuale e non di rado illuminata, che però quando inciampa in quelle sedici lettere non capisce più nulla. E a volte, se è alla regia, rovina anche i propri film.
Si fa fatica a capire, ad esempio, perché in Arance e Martello ci si debba attaccare a un passato, quello di Berlusconi e Alemanno, che risulta ormai remoto, perché soprattutto nella prima metà aleggi il nome del primo e il ricordo del secondo (bravo però Giorgio Tirabassi a impersonarlo). E’ vero, è citato in maniera ironica, ma lo stesso Zoro, in tv, lo tratta come archeologia.
Passi per La trattativa: se nel film di Diego Bianchi è per lo meno funzionale citare l’ex premier, soprattutto a una certa impostazione e a una critica verso il Pd, ossessionato dallo stesso, ovviamente la Guzzanti mette nella sua opera tutta l’acredine personale per Sua Emittenza, esplosa ai tempi di Raiot. Laddove si dovrebbe parlare di Mario Mori, Gian Carlo Caselli e Totò Riina, a un certo punto non ce la fa e dedica la seconda parte all’arcinemico, accusandolo di una trattativa che al massimo, il Berlusconi politico all’atto della sua discesa in campo avrebbe interrotto. La tesi – basata sui Dell’Utri e i Mangano – è che Totò vedesse in Silvio il referente perfetto e non avesse più bisogno di un accordo con lo Stato: interessante, per carità, e infatti Belluscone. Una storia siciliana ci fa su un ottimo lavoro sociopolitico e antropologico, ma che poco ha a che fare con Ciancimino jr e soci. Poteva chiamarlo, magari, Forza Sicilia, e parlare della sua tesi.
Non sappiamo come andrà La trattativa – applaudito a Venezia e anche criticato – ma sappiamo come sta andando Arance e martello, fin dall’inizio sotto i mille euro a copia. Un segnale evidente di come in un’Italia renziana e, se non pacificata, per lo meno in tregua, il ricordo di un recente passato di divisioni e demonizzazione interessi pochissimo. Persino al pubblico di riferimento dei cineasti stessi. Se si escludono un paio di giornali e una minoranza della sinistra più o meno radical e parecchio chic, insomma, Berlusconi non è più un argomento interessante. Sembrava poter essere eterno questo conflitto, questa divisione proficua per tutti – per la vittima, che l’ha sempre brandita come un elemento di forza, per i carnefici, che ci han costruito su successi editoriali e affini, oltre che una comoda rendita di posizione politica -, e almeno al cinema funzionava. Ancora. Allora.
Ma anche sul grande schermo, ora, l’argomento Berlusconi diventa solo vecchio, superato e persino noioso.