Quell’ Alice è in manicomio di Matteo Tarasco

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Il regista porta in scena il personaggio di Lewis Carroll

di Enrico Groppali

Non ci eravamo più imbattuti nella nostra amica Alice dai tempi beati di Giancarlo Nanni e Manuela Kusterman. E invece, sorpresa graditissima per l’intelligenza che anima questa produzione, firmata da un regista di gusti preziosi e di eclettiche predilezioni come Matteo Tarasco, ci vediamo indotti per fortuna a ricrederci. Anche perché la bizzarra creatura uscita dal cervello di Lewis Carroll, nel frattempo, ha fatto molta strada. Tanto che invece di passeggiare nel territorio infido e multiforme dei sogni è ora ospite di una stanza a circuito chiuso di tipo spaventosamente manicomiale. Ma non abbiate paura: Alice non ha perso nulla del suo carattere esistenziale di cacciatrice di farfalle da un lato, e dall’altro di invitata sui generis al tè del Cappellaio Matto.

In una corsia degli incurabili, divenuta bianca arena dell’immaginario, la terribile bambina che credevamo di conoscere a fondo continua a produrre segnali inquietanti, sì, ma del tutto conformi a chi continua a vedere e rappresentare il mondo come una favola, di cui possiedono la chiave gli unici fantasmi che continuano a visitarla. La scena, allegramente capovolta com’è, non fa pensare a dottori in bianchissimo camice occupati a controllare ciò che si agita nel cranio dei pazienti, ma semmai a una tribù di clown provenienti dall’Est Europa, a registrare ciò che si agitava nell’Inghilterra vittoriana (che si è estesa anche da noi in base al principio dell’associazione inconscia).

Con il pubblico che, come se assistesse al più folle helzapoppin’che si possa immaginare, è idealmente chiamato a varcare lo spartiacque della quarta parete e ad accettare la compagnia degli unicorni bardati comme il faut da una costumista d’arte che, per chi non l’avesse ancora notata, si chiama Chiara Aversano. Lo show si organizza alle spalle della protagonista Romina Mondello. Non solo cresciuta in sofisticazione, ma dotata di un’eccellente vis comica tenuta accuratamente in punta di forchetta che, senza colpo ferire, si sbarazza di archetipi e filosofie, continuando a ripeterci con grazia di essere appena stata ospite di una elegantissima contessa e di frequentare duchesse e lepri con imperturbabile aplomb, senza per questo trascurare il suo amico Humpty-Dumpty, Il quale, per fortuna, e’sempre a disposizione di questa paziente sui generis che, secondo noi, ha da tempo abbandonato persino il dottor Jung.

ALICE – da Lewis Carroll

Regia, scene e luci di Matteo Tarasco, con Romina Mondello

Milano, Teatro Menotti, fino al 23 marzo