Nei musei l’arte ci guarda: lo show siamo noi

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Alex Trusty espone alla galleria Federico Rui di Milano con “Museum”: una serie fotografica che trasforma il visitatore in protagonista, indagando il rapporto tra arte, architettura e osservatore.

Con la serie “Museum” il fotografo Alex Trusty ribalta la prospettiva: il vero soggetto non è l’opera, ma chi la osserva

“Io non vado nei musei, le mostre le guardo sul computer!”. Così Giuseppe Cruciani in una puntata della Zanzara in era pre- Covid, cioè quando fare una cosa “al computer” anziché in presenza era un segno di pigrizia sia fisica che intellettuale.

Ma c’è un altro modo di vedere le mostre “in differita” ed è quello che possiamo sperimentare alla personale del fotografo Alex Trusty – che a dispetto del nome è italianissimo – da Federico Rui a Milano: Museum, selezione di opere del ciclo Contemporary Museum Watching, dove si approfondisce la relazione tra opera d’arte e visitatore, ponendo l’accento su quelle che in filosofia e scienza cognitiva sono le esperienze pure – emozioni, ricordi e quant’altro – che ne derivano.

Gli scatti di Alex Trusty hanno colori intensi al limite della pittoricità, mettono in risalto i contrasti visivi e le interazioni spaziali tra soggetto, opera e ambiente. Il risultato è qualcosa che a volte diventa molto cinematografico, a un passo dal frame di un video. Alex Trusty fotografa non tanto l’opera d’arte, quanto ciò che le ruota attorno: visitatori che osservano, si muovono, si perdono nei propri pensieri.

Le sue immagini catturano quel momento interstiziale, quell’attimo fuggente, tra contemplazione e distrazione, tra presenza e svanire, in cui lo spettatore diventa parte integrante della scena, anzi addirittura il protagonista a discapito dell’opera esposta e con ogni probabilità senza nemmeno saperlo.

Questo approccio evidenzia come l’esperienza artistica possa andare al di là dell’oggetto esposto coinvolgendo attivamente non tanto e non solo chi lo osserva (che qui entra quasi pittoricamente a far parte di un quadro) ma, come in una catena ricorsiva, noi-osservatori- che- osserviamo- le- sue- foto- che- raffigurano- un- particolare- attimo- irripetibile- che- si- realizza- come- magicamente- fra- l’osservatore- e- l’opera- che- sta- osservando.

Come leggiamo nel testo di presentazione della mostra a cura di Federico Rui e Margherita Strada, “Trusty non si limita a documentare, ma crea una nuova dimensione dello sguardo, in cui l’arte osserva chi la osserva“.

In mostra compaiono alcuni tra i più celebri templi dell’arte: dalla Pinacoteca di Brera ai Musei Vaticani, passando per il Musée d’Orsay di Parigi fino al MoMA di New York.

Ma più che celebrare l’opera, Alex Trusty sembra volerci porre davanti a un rimando di specchi, dove il nostro ruolo di spettatori/osservatori carambola in una teoria ricorsiva del linguaggio visivo- o in una serie di scatole cinesi, se vi riesce più facile leggerla così.

In un’epoca in cui l’immagine ha preso il sopravvento sulla parola – vedi TikTok e comunque già il papà del rap Gil Scott-Heron lo diceva 50 anni fa nella sua canzone “The Revolution Will Not Be Televised” – Trusty ci invita a rallentare e, udite udite, quasi ci insegna come si guarda una mostra.

E, di rimando, magari in un mondo magari un po’ più scanzonato del nostro, come possiamo guardare noi stessi mentre guardiamo la mostra da Federico Rui che espone la serie fotografica di Alex Trusty “in cui l’arte osserva chi la osserva“.

Se a livello di pur estetica ricorda Museum Photographs di Thomas Struth, dall’altro se ne distacca radicalmente perché qui nessuno è andato alla ricerca della giusta posizione dei soggetti davanti all’opera d’arte selezionata, prova ne è il dinamismo quasi futurista di scatti come questo:

Alex Trusty espone alla galleria Federico Rui di Milano con “Museum”: una serie fotografica che trasforma il visitatore in protagonista, indagando il rapporto tra arte, architettura e osservatore.

La mostra è visitabile fino a luglio, quindi non avete scuse.

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