“Rifiutati”? Anche no. In discarica tra artisti famosi, outsider e arte del territorio

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Nella sede di Cermec, tra i capannoni che durante l’anno raccolgono i rifiuti della provincia di Massa e Carrarra, tra presse e camion, il Festival Rifiutati 2025 trasforma il consorzio che ogni giorno raccoglie e tratta i rifiuti in uno spazio espositivo a cielo aperto. Arte fuori dal giro dunque? Sì ma fino a un certo punto.

Tra i capannoni industriali del Cermec, il consorzio che ogni giorno raccoglie e tratta i rifiuti della provincia di Massa e Carrara, il rumore delle presse e dei camion si è fermato per qualche giorno. Al loro posto, quadri, installazioni, performance e sculture. È il Festival Rifiutati, alla sua seconda edizione, che quest’anno coincide con la Giornata Mondiale dell’Ambiente, il 5 giugno.

Un nome volutamente ambiguo, che richiama il celebre Salon des Refusés parigino del 1863, quando artisti esclusi dai salotti ufficiali come Manet e Cézanne cambiarono il corso dell’arte europea. Qui però non sono gli artisti a essere rifiutati, ma gli oggetti — materiali scartati, residui di consumo, rifiuti industriali — che diventano materia creativa e occasione di riflessione collettiva.

A volerlo è Lorenzo Porzano, amministratore unico di Cermec, figura che sfugge alle definizioni ordinarie. Manager pubblico, artista, promotore culturale, capace di trasformare il luogo dove ogni giorno si separano e recuperano scarti in uno spazio che, per tre giorni, prova a rimettere insieme ciò che la società frammenta.

Il Festival apre al pubblico dal 6 all’8 giugno. Mostre, incontri, performance dal vivo e laboratori per bambini e adulti si distribuiscono negli spazi dove solitamente si smistano carta, plastica e metalli. L’idea non è nuova — l’arte che lavora sul recupero dei materiali è una pratica consolidata — ma qui la scelta di portare dentro il luogo fisico dei rifiuti, senza traslocare tutto in una galleria o in un museo, restituisce una dimensione concreta e quotidiana alla riflessione.

Tra le opere più discusse c’è una cella a grandezza naturale realizzata in cartapesta dai detenuti della Casa Circondariale di Massa. Non una provocazione, ma un invito a guardare da vicino quei luoghi e quelle vite che restano, spesso, ai margini del discorso pubblico. È solo uno dei tanti contributi che arrivano da chi di solito resta fuori dai circuiti culturali: anziani, persone con disabilità, residenti di strutture psichiatriche, utenti dei centri diurni, gruppi di ragazzi seguiti da cooperative sociali.

Insieme a loro, cinquanta artisti di fama nazionale e internazionale, selezionati dal curatore Alessandro Riva. Tra questi, nomi noti come Fabio Viale, famoso per le sue sculture marmoree che sembrano oggetti di plastica, o Fabio Giampietro, che lavora con la realtà virtuale. E ancora street artist come Pao, o autori di arte concettuale come Corrado Bonomi.

Non mancano omaggi alla storia del design italiano, come quello dedicato a Cesare Leonardi, architetto e designer scomparso nel 2021, da sempre attento al rapporto tra forma, funzione e ambiente. E uno spazio è riservato anche agli artisti locali, per valorizzare quella produzione che spesso resta confinata alle fiere di paese o ai laboratori artigiani.

Il Festival Rifiutati è anche spettacolo. Tra le performance in programma, i ritratti effimeri realizzati con polvere di marmo, le azioni relazionali di Florencia Martinez e le sculture in diretta scolpite con una motosega da Alfio Bichi. A rendere meno distante il discorso sull’arte contemporanea ci pensa poi un torneo di calciobalilla, ispirato a Stadium, l’opera che nel 1991 Maurizio Cattelan aveva trasformato in una metafora delle tensioni razziali.

Anche il cibo segue la stessa logica: il collettivo Duri come il marmo, campioni del mondo della pizza, propone ricette a base di ingredienti di recupero, dimostrando che anche in cucina gli scarti possono essere una risorsa.

La sensazione, attraversando i capannoni, è quella di una sospensione. Dove prima c’erano rifiuti, ora ci sono opere, ma la memoria del luogo resta. Non c’è la patina patinata degli eventi ufficiali, né l’ansia di compiacere il mercato. Il valore qui non è nella rarità dell’oggetto, ma nella storia che porta con sé, nel processo che lo ha generato e nel significato che assume in un contesto collettivo.

Il Festival non offre risposte semplici, e forse non cerca nemmeno di farlo. Piuttosto, suggerisce di spostare lo sguardo, di considerare che dietro ogni materiale scartato, dietro ogni storia dimenticata, si nasconde qualcosa che vale la pena recuperare. Lo fa senza moralismi e senza spettacolarizzazioni, costruendo uno spazio temporaneo in cui arte, ambiente e inclusione sociale non sono categorie separate, ma aspetti intrecciati della stessa questione.

Dopo tre giorni, i capannoni torneranno alla loro funzione originaria. Ma l’impressione è che, per chi li ha attraversati, resterà almeno il sospetto che anche tra le cose buttate e le vite messe ai margini si possa trovare, se si ha voglia di guardare, un valore non scontato.

Gli artisti partecipanti: Avvassena, Sara Baxter, Stefano Banfi, Alfio Bichi, Corrado Bonomi, Felipe Cardeña, Giacomo Cossio, Andrea Crespi, Antonio De Filippis, Manuel Felisi, Fabio Giampietro, Luca Gnizio, Gabriella Kuruvilla, Tiziano Lera, Matteo Mandelli e Luca Baldocchi, Florencia Martinez, Giovanni Motta, Carla Mura, Paolo Nicolai, Federica Palmarin, Alessandra Pierelli, Lorenzo Porzano, Pao, Martin Romeo, Stefano Russo, Annarita Serra, Danilo Sergiampietri, Filippo Tincolini, Silvia Tosi, Giuseppe Veneziano, Laura Veschi, Fabio Viale, Annalisa Welzhofer, Romana Zambon, Andrea Zucchi.

Arte sul territorio: Stefano Alinari, Margot Bertonati, Anna Bettarini, Maria e Elisabetta Cori, Lorenzo Filomeni in arte Lofilo, Cristiano Gassani & Luca Marchini, Clara Mallegni, Michele Monfroni, Malfalda Pegollo, Lele Picà, Andrea Polenta, Francesco Siani, Stefano Siani, Michelangelo Toffetti, Paola Zan.

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