Valentina Villa, nata a Lecco nel 1980, vive e lavora a Milano avulsa dal mercato dell’arte. E’ figlia di artisti sui generis, una illustratrice outsider, canterina, che ha sviluppato una sua personale cosmogonia popolata di figure fiabesche e corpi astrali leggeri come l’aria. Ha sempre vissuto a Milano in zona Città Studi, dell’infanzia ricorda di aver trascorso lunghi periodi nella casa di una zia in campagna a contatto con la natura, gatti, cani, galline; uno scenario idilliaco trasfigurato nel suo immaginario sospeso tra sogno e realtà, come dimostrano i sui disegni e acquarelli che mettono in discussione la nozione di verosimiglianza e propongono poetici modi di rappresentazione.
Quando hai cominciato a disegnare e perché?
Sul mio percorso di studi non ho mai avuto dubbi. Prima il liceo artistico Hajech nella sezione sperimentale, poi l’indirizzo figurativo al S. Marta a Milano. In seguito, avrei voluto frequentare la Scuola di Scultura a Brera, ma già ai tempi del Liceo, ho avuto la fortuna di conoscere artisti come Paolo Rosa e Tullio Brunone, che in quegli anni stavano insegnando al Dipartimento di Comunicazione Visiva Multimediale, e iscrivermi lì è stato naturale. In quegli anni (2000) la ricerca artistica nel campo delle nuove tecnologie non era ancora diffusa e non interessava tanto l’aspetto poetico dei media, poi tutto è cambiato, e la mia passione per la video arte si è sciolta come neve al sole. Ricordo di aver sempre disegnato. In casa ho respirato arte fin da piccola, mio padre di professione fotografo, e con mia madre che si è specializzata nella pittura iconografica. Casa mia era piena di quadri, disegni, litografie, spesso regali degli artisti che giravano per la Ricordi Arti Grafiche, dove mio padre lavorava. Il disegno, è qualcosa che ha sempre fatto parte della mia vita. Lo stesso vale per la musica. Mio nonno da parte di mia madre, che non ho purtroppo conosciuto, è stato primo violino alla Scala. Mio padre da giovane cantava e suonava pianoforte e chitarra. Io invece, dopo alcuni anni di clarinetto, studiavo con la Banda dei Martinitt di Milano, ho sempre sentito una passione innata per il canto. Anche oggi, anni dopo…disegno e canto.
Che materiali usi?
Al liceo ho fatto qualche sperimentazione in campo pittorico, ma ho sempre preferito la dimensione intimista del piccolo formato e strumenti quali gli acquarelli, le matite, la china, forse perché non ho mai avuto uno spazio adeguato dove lavorare. All’Accademia di Brera ho studiato altro, e mi sono appassionata alla video arte. In seguito mi sono iscritta alla Scuola Civica di Cinema e ho seguito il corso di documentario. In quegli anni ho conosciuto l’artista e esperto di preistoria Giulio Calegari e con lui ho realizzato dei video performativi artistici. Il disegno però, è la mia essenza, mi ha sempre accompagnato durante il percorso, non ho mai smesso.
Chi sono i tuoi maestri?
Ho avuto tanti maestri, professori che ho conosciuto sia al Liceo Artistico che dopo, nell’ambiente di Brera, ma nessuno in particolare. Intendo dire che non mi sono mai ispirata a un solo artista. La gestualità e la personalità lavorano per conto proprio. Però mi ricordo frasi degli artisti che ho nominato prima, Giulio Calegari, Paolo Rosa, che hanno sempre messo il contenuto artistico, il messaggio poetico al centro del loro discorso. Lo dico perché adesso nell’ambito delle tecnologie dell’arte mi sembra che si perda di vista la poetica, il messaggio. Non mi interessa più in questi termini, anzi sono contraria. Ecco perché negli ultimi anni sono ritornata al disegno.
Sei per lo più attratta dalla figurazione o hai esplorato anche paesaggi astratti?
Mi interessano entrambi in egual misura. Parto sempre da qualcosa che risulti riconoscibile e cerco di decontestualizzarlo tramite le macchie indefinite dell’acquarello, oppure se lavoro con gli acrilici al contrario, cerco di rendere l’atmosfera metafisica. Quindi c’è del figurativo ma allo stesso tempo è irreale, volutamente indefinibile e ambivalente.
Quali sono i tuoi soggetti preferiti?
Più che un soggetto specifico, mi interessa cogliere l’aspetto poetico delle cose, l’immaterialità, possono essere oggetti, corpi. Mi è capitato, illustrando racconti, che mi sia stato commissionato qualcosa di molto descrittivo, ma non è il mio stile. Quindi confermo che il mio soggetto preferito è il sogno.
Fiabe, mitologia, letteratura o altre fonti ti hanno in particolare ispirata per un ciclo di illustrazioni? Se sì, quali ?
Ho recentemente illustrato per un caro amico, le meditazioni sul Vangelo di San Marco che è stato fonte di grande ispirazione. Quando ho illustrato “Racconti dal mondo” (Edizioni Paginauno) , è stata una esperienza fantastica, perché ho avuto la possibilità di scegliere liberamente i racconti, che facevano parte di una collana di tascabili ed erano già stati pubblicati. Li ho scelti secondo la poetica di cui ti parlavo prima, cercando qualcosa che fosse identitario della cultura che li ha prodotti. E’ interessante vedere come ogni popolo pensi e sogni in maniera così diversa.
Disegni di giorno o di notte forse ascoltando musica, ci racconti la tua metodologia di lavoro?
Per la vita che svolgo (lavoro come impiegata full-time) per me disegnare è anche una disciplina, intendo dire che purtroppo non posso farlo quando voglio. Quindi devo dedicargli un tempo specifico. Solitamente nel fine settimana, talvolta la sera. E’ come una meditazione curativa. Non ascolto musica. Se ascolto musica inizio a concentrarmi su tutti gli strumenti…insomma la analizzo e la studio e mi lì nel mio viaggio mentale mi perdo. Per questo disegno ammantata dal silenzio. Ma ascolto molta musica!
Cosa rappresenta per te il disegno?
Il disegno per me è parte di ciò che sono profondamente. Mi ricordo che quando ero ragazzina un giorno mio padre mi disse “tu dovresti disegnare le copertine dei libri”. Mi sembrava una cosa impossibile, erano già iniziati i tempi in cui i grafici si sostituivano agli illustratori. Invece il caso o il destino ha voluto che anni dopo abbia iniziato a collaborare proprio con una casa editrice per la quale ho iniziato a fare le copertine.
Mai pensato di pubblicare un libro con brevi racconti o aforismi per bambini?
Ho avuto l’occasione in passato di fare alcuni disegni per bambini quando ho illustrato il calendario Buffetti del 2012: in quell’occasione ho avuto un’idea che era perfetta per il mondo dell’infanzia. Adesso, avendo anche poco tempo, seguo dove mi porta la ricerca e sto pensando a progetti diversi.
Quali fiaba ti piacerebbe illustrare?
Preferirei illustrare un romanzo come Moby Dick, ma tra le fiabe La Sirenetta o Scarpette Rosse.
Che rapporto hai con il tempo che passa?
Spero di averne abbastanza per trovare sempre più me stessa, al di là delle etichette che la società ci attribuisce o impone, che lavoro fai per mantenerti, dove vivi, se sei single o sposata, come vesti, se sei donna e quindi sei madre, oppure se semplicemente ti consideri libera di essere te stessa. Per il resto, cerco di mantenermi in salute, ma senza stress.
Qual è il tuo sogno?
Una volta avrei risposto “vivere a contatto con la natura”. Ma ho fortuna in questo perché mia madre vive ora in alta montagna e posso andare a trovarla spesso. Quindi il sogno adesso è trascorrere sempre più tempo di qualità con le persone che amo e facendo quello che amo fare.