La passione di Alex Pinna per la musica, ed in particolare per il genere musicale jazz connotano la sua produzione artistica, dandole quasi, da definizione stessa dell’artista, una “tendenza sonora”.
Per riassumere il filone principale della sua produzione artistica degli ultimi anni, possiamo essenzialmente rifarci al ciclo Believe me, dove una linea di ferro guizza duplicandosi con la propria ombra in un gioco di moltiplicazione delle curve che disegnano, letteralmente, lo spazio o anche alle sculture Waiting for, che tramite la figura stilizzata che si affaccia da una sorta di trampolino, come a guardare il mondo da lontano, comunica all’osservatore un senso di indecisione dell’artista sul partecipare o meno alla affannosa vita di noi comuni mortali.
Il titolo della sua prima personale a Milano, dal 25 Maggio all’8 Luglio 2023 in Galleria Giovanni Bonelli, echeggia l’inglese Blue -che nella traduzione italiana rimane semplicemente Blu- ma che nella pronuncia di Alex Pinna mantiene inalterate le qualità di sensazione visivo-umorale del termine inglese. Per Pinna, Blu è il suono del vento tra le cime delle barche a vela d’inverno nei porti, gli schizzi delle gocce di pioggia che cadono nelle pozzanghere e sulle ringhiere dei terrazzi, in sostanza Blu è molto Milano.
Rifacendosi alla metafora musicale, Pinna rivela che l’idea di Blu ha sicuramente delle eco tra il sound di Nina Simone e Miles Davis e, tuttavia, permane meno tristezza. La visione di Pinna, infatti, può esser interpretata sia come meditazione malinconica sia come sguardo irriverente su una condizione umana sempre in bilico tra tempo e spazio. Come in una composizione jazz dove i musicisti non conoscono mai la destinazione della loro musica, la produzione artistica di Alex Pinna ci accoglie nel suo mondo popolato da figure stilizzate che ci guideranno in percorsi emozionali soggettivi assolutamente imprevedibili.
I visitatori, quindi, troveranno disponibile in galleria la prima monografia dell’artista edita da Allemandi, con la promessa di Pinna di riuscire nella difficile impresa di comunicare emozioni, sentimenti, tratti psicologici senza ricorrere all’ausilio delle espressioni del volto, ma con il solo incurvarsi pensoso di una schiena o con l’inclinarsi del corpo in precarie situazioni di disequilibrio, lasciando nello spettatore un brulicante senso di instabilità emotiva.
“Nella mia vita ho iniziato dipingendo, solo più tardi ho capito che la mia vera vocazione era un’altra. È con la scultura che posso comunicare con gli altri, è la scultura che sento davvero mia”.