Tra libri smarriti e vuoti urbani emozioni di adozioni: volti e vite che parlano di…Italia

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All’Anfiteatro Martesana di Milano è possibile arricchirsi guardando delle installazioni d’arte. Si parla da anni e anni di arte sociale, ma spesso i risultati finali sono poco comunicativi. Tu chiamala arte concettuale se ti pare (e se non ti vergogni di passare per insipienti agli occhi dei sapientoni).

Ma all’Anfiteatro Martesana, nome che suona di letteratura come Il ponte della Ghisolfa di Testori, si può toccare con mano, nel vero senso del termine, cosa significhi uscire dal proprio guscio: del resto, quanto è autoreferenziale l’arte contemporanea!

Tre mostre, tre opere installative distinte ma non distanti, per capire l’importanza:
1) dell’altro (soprattutto quando pensiamo che l’altro, se ha un colore della pelle diverso dal nostro, sia appunto altro da noi)
2) dello spazio che ci circonda (anche quando pensiamo di conoscerlo bene, come la città in cui ci muoviamo)
3) di quell’oggetto pieno di parole (ma che non proferisce verbo) chiamato libro

Tre mostre/installazioni, si diceva: una a cura di Jasmine Formentin e Valentina Luraghi (Vuoti Urbani), le altre due (La dimora dei libri smarriti, di Pino Lia ed Emozioni di Adozioni di Giovanni Manzoni) a cura di Angelo Caruso.

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Vuoti Urbani è la collettiva realizzata sotto l’egida di Jacqueline Ceresoli, che insegna Tecniche di documentazione audiovisiva a Brera ed è incentrata sul cambiamento nel nostro uso dello spazio urbano: vuoto urbano è sinonimo di non-luogo, lo spazio di tutti e di nessuno, tipo gli aeroporti. E quanti non luoghi ha Milano! Non luoghi da ri-denotare con l’azione anarchica e libertaria dell’arte: di impatto l’installazione di Valentina Luraghi, Rebecca Morisco e Marzia Nicola fatta di tappeti di stracci, indumenti, scarpe, gesso, vernice in spray e Il taccuino del flâneur (per chi la conosce, nel termine flâneur c’è il tocco di Jacqueline!) di Aurora Bini e Mario Usai.

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Nella sala a piano terra dell’Anfiteatro Martesana Pino Lia e Giovanni Manzoni dialogano invece con due installazioni di carta: quella di Pino Lio (La dimora dei libri smarriti) consiste in una grande messe di libri, recuperati in diversi anni tra i volumi abbandonati dalle biblioteche, ordinati come monoliti, con sommità a spiovente dalla forma ispirata alla grande arca di pietra che secondo la tradizione conteneva le spoglie dei tre Magi. Durante la mostra è possibile prendere uno o più libri e portarseli a casa.

L’installazione di Giovanni Manzoni, Emozioni di Adozioni, è un murale in carta: protagonisti quelle nuove generazioni dai profili esotici con cognomi italianissimi, simboli viventi di un grande disegno di 17 volti di indios, latini, indiani, asiatici, cileni, africani, tutti semplicemente italiani, cresciuti in Italia e fautori di un percorso spesso faticoso (l’origine è quasi sempre l’adozione, da qui il titolo dell’installazione), a volte finito bene e altre male, come nel caso di Luis Fernando Ruggieri (è una notizia di cronaca finita su tutti i giornali alcune settimane fa), boliviano cresciuto in Lombardia, ucciso a 46 anni al centro commerciale di Assago da un coetaneo italiano con problemi psichici.

Tanti volti e tante vite nel murale disegnato di Manzoni, volti che rappresentano la bellezza dello spirito umano, non solo per se stessi ma anche per noi, volti disegnati e vivi che sembrano vibrare in quella direzione cantata dal musicista Daniele Stefani (Italiani , tratta dall’album La fiducia), per cui tutti, ma veramente tutti, siamo “semplicemente” italiani: Unici semplici/Portatori di energia/Di sorrisi angelici e inferni romantici/Oltre ogni confine le radici/Si distinguono e lo sai.

Nelle parole di Giovanni Manzoni: “L’Italia è piena di volti nuovi dai cognomi super italiani […]In tutti questi volti…uno scrittore ,un artista, una promessa del calcio, una commessa una poetessa, un giovane studente di 46 anni… tanti volti, tante vite”.

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