L’ultima battaglia: dal barocco di Salvator Rosa a….

0
Salvator Rosa - Battaglia tra cristiani e turchi 100x130

Può il Barocco dialogare col contemporaneo? È l’ambiziosa domanda che si è posta la mostra L’ultima grande battaglia. Dal Barocco di Salvator Rosa al contemporaneo di Max Coppeta, a cura di Alessandro Demma, che inaugura il 27 maggio alla Baccaro Art Gallery di Pagani in provincia di Salerno.

Il progetto, da un’idea di Davide Caramagna, apre un ciclo di esposizioni che hanno il fine di mettere in dialogo le opere dell’artista contemporaneo Max Coppeta con alcuni capolavori dei più celebri artisti del Barocco napoletano, come Solimena, Luca Giordano e appunto Salvator Rosa, provenienti dalla Fondazione De Chiara De Maio, con l’eccezionale contributo critico dello storico dell’arte Sandro Barbagallo, curatore del reparto Collezioni Storiche dei Musei Vaticani.

Rosa è sicuramente uno degli personaggi più eclettici e in parte controverso della scena artistica, nato a Napoli nel 1615, trascorse una vita ribelle tanto da meritare l’appellativo mistico e dirompente di “Pittore maledetto”. Genio del Barocco, ci ha lasciato paesaggi dal gusto romantico, intensi ritratti e autoritratti, scene di stregoneria che forse ispirarono il Goya e scene di battaglia che esplicitano la sua condanna nei confronti della guerra.

Ed in questa prima esposizione, tutto ruota proprio attorno all’opera La Battaglia tra cristiani e turchi del 1630. Lo scontro navale che ebbe luogo il 7 ottobre 1571 nelle acque di Lepanto, segnò una svolta epocale nella storia del Mar Mediterraneo e di tutti quei paesi che, fino ad allora, erano stati coinvolti nella lotta per arginare la minaccia turca. La battaglia, tema caro all’attività pittorica di Salvator Rosa, fu uno dei suoi soggetti preferiti, fin dagli esordi.

Il maestro napoletano è celebre per porre al centro della composizione un apice drammatico, con le soluzioni d’effetto dei polveroni che si alzano minacciosi in mezzo alla mischia. L’esposizione vuole essere un omaggio all’opera barocca, come testimonianza di un evento ricco di significato e che invita ad una rilettura, con gli occhi della contemporaneità.

Ad aiutarci in questo processo di decodifica di un linguaggio che ha avuto il suo exploit nel seicento napoletano, la ricerca Riflessi e deformi, presentata a Los Angeles e per la prima volta esposta in Italia, in cui Coppeta esplora la proprietà dell’acqua e dei liquidi di ingrandire oggetti immersi in essa a causa della differenza dell’indice di rifrazione. Questa indagine è una metafora sulla percezione della realtà, spesso distorta dalla fame di sopraffazione.

Coppeta percependo la volontà del maestro, di andare oltre la meraviglia visiva, sceglie di agire direttamente nella terza dimensione, deformando materiali specchianti e sottolineando il ruolo decisivo che le tensioni hanno in questo dialogo.

Max Coppeta – scrive il curatore della mostra Alessandro Demma – si concentra proprio su queste tensioni, su questo brivido, su questa dimensione degli spazi infiniti, su questa nuova avventura barocca, in cui la sinuosità e la complessità della materia (del presente), il suo dispiegamento e ripiegamento, la sua deformazione e riflessione, tendono a creare uno “spazio totale” che stabilisce legami e disaccordi tra l’interno e l’esterno, l’esterno e l’interno. “

La luce che, ne La battaglia di Lepanto, trafigge i visi dei protagonisti dei due gruppi antagonisti è reinterpretata in chiave contemporanea dall’artista, che la assimila, per rifletterla nelle sue sculture. Come in una scenografia, chi osserva, viene avvolto e catturato dalla forza attrattiva che anima le opere di Rosa e Coppeta. Questa forza, sembra fuoriuscire dalle figure per propagarsi nei rimandi di una storia che scuote il presente e torna ad essere forma nuova.

L’opera Mani, ad esempio, è dedicata alla memoria di tutte le vittime del cemento. Sono tante le battaglie che, nel corso della storia, siamo chiamati a dare voce. In questo caso l’artista si è ispirato a due tragedie del territorio campano, il terremoto dell’80 in Irpinia e la frana di Sarno del’98.

“Per questa scultura – dice Coppeta – come per tutta la mia produzione, ho scelto materiali sintetici e industriali. Mani è una scultura intagliata a fuoco nel polistirolo, poi ingarzata e dipinta con acrilici metallescenti. L’opera è parte del ciclo di lavori “scultura pigra” poiché viene lavorata in assenza di sforzo fisico. Ogni battaglia è un atto di forza tra vincitori e vinti. Corpi mutilati, sottratti alla vita diventano ritratti in teche trasparenti, ma questi uomini siamo noi, che nell’atto di specchiarci vediamo la nostra immagine riflessa alterata, irriconoscibile. “

Questa condizione chiaroscurale, di uomo contro uomo, proietta nuove ombre sulla contemporaneità. Ma se ogni battaglia lascia una crepa, l’invito è di coglierne la luce.