La Sicilia sulla pelle, fra piacevoli ricordi che sembrano carezze e ferite rimarginate tramite la passione che mette nel suo lavoro. Su Canale 5 è Maurizia, bellissima e tormentata, nella miniserie “Buongiorno, mamma!” con Raoul Bova prodotta da Lux Vide e diretta da Giulio Manfredonia. Stella Egitto sa quello che vuole, lotta per ottenerlo, ma dietro ai mille volti che un’attrice riesce ad interpretare, grazie allo studio e alla gavetta, si nascondono le fragilità dei trent’anni. Quelli fatti di sogni, ambizioni, speranze. Il rapporto con la paura, il teatro, primo amore da cui tutto è partito. «Non avrei mai pensato di fare cinema e televisione» , racconta mentre ascolta il rumore del mare dalla sua Messina. Qui conserva l’attaccamento agli affetti più cari, che la sostengono nelle scelte di vita. Poi, il confronto sul set con i grandi attori, da Gianmarco Tognazzi a Luca Zingaretti, insieme ai quali ha collaborato davanti alla macchina da presa. E l’immagine di sé senza filtri che, da anti-diva, conquista con il talento il pubblico generalista. Ma non solo.
Bella e dannata, interpreta Maurizia nel dramedy familiare “Buongiorno, mamma!” su Canale 5. Un ruolo studiato o le è venuto spontaneo?
«Un personaggio complicatissimo della serie, satellite e lunare nei cicli che attraversano le vite degli altri. Molto scuro, così come il contesto da cui proviene, la periferia, che ha determinato l’ansia, il desiderio e la necessità di avvicinarsi al centro. Sfaccettature che non mi appartengono. È vero, ho delle fragilità, ma sono abbastanza sicura di me. Mi è mancata la figura paterna, che è fondamentale nella crescita formativa e professionale di ognuno. I ruoli che ho vestito, in genere, hanno sempre avuto enormi mancanze o bisogni da colmare. Quindi è naturale trasferire un po’ di sé nell’interpretazione, il resto lo fa la scrittura. Nasco in una famiglia colta e borghese, con una madre presente. Mi reputo abbastanza fortunata, non mi sono persa come donna, a differenza di Maurizia che vive la dannazione e il tentativo continuo di ritrovarsi e riscattarsi».
Quali sono i ricordi piacevoli che porta con sé della sua Sicilia?
«Ho vissuto lì fino ai 18 anni. La fase di consapevolezza credo di averla acquisita a Roma con l’esperienza e gli studi, soprattutto all’Accademia Silvio D’Amico. Ho avuto il privilegio di crescere tra Messina e le Eolie, da bambina e nel periodo dell’adolescenza sono stata a contatto con la natura e il mare. In seguito, ho dovuto lasciare la mia terra. Sembra un’epoca così lontana, non c’erano ancora i social e gli smartphone. Nel tempo libero si sognava, salivamo a bordo dei traghetti per esplorare la bellezza delle isole».
E le cicatrici?
«Sono direttamente proporzionali. Per svolgere il mio mestiere ho dovuto lasciarla perché, nonostante le innumerevoli tradizioni teatrali, da Palermo a Catania, non c’era una scuola di valore equivalente a quello delle altre città. Un trasferimento necessario, dettato dalle contingenze. Ma non riesco a fare un paragone con la Capitale che, di fatto, è un Sud in miniatura. Tuttavia, l’aria che si respira e le opportunità che offre sono diverse. Le realtà in cui ho abitato, però, si stanno evolvendo anche se da Messina i giovani cercano una via di fuga. Sento spesso la voglia di tornare per stare con la mia famiglia, a distanza sono diventata più indulgente verso quello che mi manca».
Ha frequentato l’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, lavorando poi con grandi attori del calibro di Gianmarco Tognazzi, Luca Zingaretti e, di recente, Raoul Bova. Si è mai sentita piccola vicino a loro?
«Certo, ero davvero spaventata. Sono grata alla vita per le cose che mi succedono, non do nulla per scontato, non sgomito. E detesto questo tipo di dinamiche perché vorrei continuare a meravigliarmi: se non mi stupisco più di ciò che mi riserva il futuro, mi annoio. Cerco stimoli che sappiano sorprendermi, per contrastare i tabù della noia e della morte».
Che rapporto ha con la paura?
«La percepisco, la sento. Ma tanto quanto il coraggio che possiedo per affrontarla. Sono un tipo che si spaventa, tutti i cambiamenti drastici che non riesco a controllare mi destabilizzano. I miei timori non generano immobilità, sono un motore per andare avanti e costruire. Così la stasi, le acque calme. Non le riconosco come naturali. Deve esserci un flusso capace di travolgermi e dal quale far nascere nuove idee e progetti».
Come ha vissuto, e vive, la pandemia?
«Continuo a vivere con un grande rispetto delle regole, non sono una che fa la furba. Viviamo in un Paese che ha messo in discussione, cinque minuti dopo che erano entrate in vigore, le norme appena approvate dalle istituzioni. Bisogna fare appello al senso civico e all’etica personale. Non ho avuto il Covid perché mi sono preservata. Ultimamente, e con attenzione, ho ripreso a muovermi e a viaggiare. Prima, rifiutavo addirittura i piccoli inviti e non andavo nemmeno alle cene organizzate dagli amici più stretti, tamponati da due giorni. Rispetto tutte le misure di sicurezza del caso».
Cinema e teatri chiusi per oltre un anno. Pensa che, ormai, il pubblico si sia abituato alla nuova fruizione di film e pièce comodamente sul divano di casa?
«Le piattaforme di streaming per noi attori costituiscono nuove possibilità, strade differenti. Ci hanno salvato consentendoci di guardare fuori dalla finestra, affacciandoci sulle novità. Da poco ho girato un film per Netflix. Allo stesso tempo ne siamo intimoriti perché sembra che si stia perdendo la sacralità dei luoghi dedicati allo spettacolo. Non parlo delle sale teatrali, le rappresentazioni digitali e alternative sono tutt’altro, ma il terrore del non ritorno alla normalità resta. Capire cosa accadrà, come risponderanno le produzioni e gli spettatori è l’interrogativo del domani. Oggi tutto è fruibile online con un abbonamento di 10 euro al mese».
La sfida che non è ancora riuscita a vincere?
«Non credo di essermi mai prefissata qualcosa senza aver almeno provato a metterla in piedi. Ho vinto una borsa di studio alla Strasberg di New York, che ha subito un anno di posticipo a causa dell’emergenza sanitaria. Il sogno americano e gli Stati Uniti, che hanno versato lacrime amare ma sono riusciti a rialzarsi dalle macerie con i vaccini, mi destabilizza un po’ per via della sensazione di dovermi allontanare, lasciando quelle cose che sto realizzando in Italia e che mi danno innumerevoli soddisfazioni. Da una parte sono entusiasta, dall’altra titubante. Più che una sfida, una decisione non facile da prendere».
Testimonial per numerosi brand. Prima di iniziare a recitare, ha pensato ad una carriera nella moda?
«No, assolutamente, non è mai stata una mia priorità. Ho studiato parecchio per i miei obiettivi lavorativi attoriali e, forse, non avrei avuto le caratteristiche fisiche adatte per fare la modella. Non ho pensato ad un percorso del genere, né alla partecipazione ai vari concorsi da Miss. Non ho chiuso la porta alla pubblicità, alle prestigiose e valide campagne di advertising, pure se non erano il mio punto di partenza. La mia esigenza è sempre stata un’altra».
Catcalling, se ne discute tanto. Da bellissima qual è, le hanno mai dato fastidio gli apprezzamenti, più o meno volgari e indesiderati, ricevuti per strada?
«C’è un’importante distinzione da fare: un complimento garbato, e in un contesto appropriato, è sempre ben accetto, fa bene all’autostima, è galante. Le volgarità, ad esempio per chi come me parte da sola in tournée, disturbano molto, le trovo fastidiose e terrificanti. Sono l’esempio di una vera povertà interiore».
Alcune sue colleghe sfoggiano brufoli e acne senza filtri sui social per denunciare i ritocchi. Ma, invece, agli eventi pubblici quasi non si lasciano fotografare se per caso sono struccate. Una contraddizione in termini di coerenza e da star dell’ultima ora?
«Sono d’accordo, non appartengo alla categoria di chi posta in questa maniera le sue foto e non sono solita fare editing o post-produzione per trasformarmi in altro da me stessa. Nel momento in cui decidessi di condividere uno scatto che mi rappresenta, dovrebbe ritrarre il meglio di me. Ciò non vuol dire che non bisogna fare i conti con i propri difetti. Magari, quel giorno in cui la mia pelle è imperfetta, scelgo di non pubblicare sul web. Non perché temo il giudizio della gente, l’obiettivo è che nella quotidianità io sia in forma. Ne faccio una questione di benessere. Poi esistono i correttori, i trucchi per minimizzare le beate imperfezioni. Che esistono, siamo esseri umani, non sono schiava di alcun canone estetico. Se al mattino mi sveglio con un brufolo, spero che sparisca, è indicativo di qualcosa che non funziona correttamente nel mio corpo. Sono una fan dell’autoaccettazione, vado oltre la subordinazione ai diktat di una società che ci vuole tutte magre e con i glutei alti. Mi alleno poiché mi fa bene e voglio essere in salute, mi ritengo libera e non mi sono mai allineata agli stereotipi. Le fotografie delle colleghe possono sicuramente essere motivazionali e d’aiuto per chi non ha ancora raggiunto la maturità di accettarsi fisicamente. Allora sì che avrebbero un significato».
Unica donna ospite fra tanti uomini in una trasmissione tv, parteciperebbe?
«Se fossi invitata per il ruolo che ricopro, per il contenuto e il contributo che potrei portare con il mio discorso all’interno del programma, parteciperei. Probabilmente, dapprima cercherei di capire perché sono l’unica donna invitata e se sono realmente la sola che può fare la differenza in quel tavolo di discussione o durante il dibattito».
Credits:
Photo portrait: Maddalena Petrosino
Styling: Umberto Granata @EPSUITE19
Make up: Raffaele Schioppo @ Simone Belli Agency
Hair: Francesco Borghese @ Mimmo Laserra