Da Sanremo Giovani a “Turisti”, intervista ad Avincola

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Il due marzo è iniziato Sanremo e ad aprire la prima serata della Kermesse sono stati i giovani. Tra i primi ad esibirsi sul palco, armato di pallone, c’era Simone Avincola noto semplicemente come Avincola: romano classe 1987, ha portato “Goal!” singolo estratto dal suo ultimo album “Turisti”. L’Ariston vuoto, l’esperienza dalle preselezioni alla prima serata e il lavoro di un artista in un periodo così difficile, Avincola racconta ad OFF ogni passo delle scorse giornate.

Innanzitutto, chi è Avincola?

Sono uno che scrive canzoni perché mi viene naturale, perché non potrei fare senza. Da piccolo ho sempre scritto e ho sempre suonato, studiando chitarra per dieci anni ho avuto il piacere e la fortuna di circondarmi di musicisti che mi hanno permesso di muovere i primi passi e di poter creare i primi gruppi, prendere coraggio e farle ascoltare quelle canzoni che scrivevo. Sono uno che semplicemente vuole a tutti i costi cercare di trasmettere emozioni sperando di fa ritrovare chi mi ascolta nelle storie che racconto.

Come hai vissuto la prima serata all’Ariston?

È stata chiaramente un’emozione molto forte che ho vissuto tanto, devo dire, prima dell’esibizione. Nel momento in cui sono salito sul palco non c’era ansia, ma davvero tanta felicità. Ero molto felice nonostante non ci fosse il pubblico, ma era come se fosse lì accanto a me, e questo desiderio di lanciare questa canzone ottimista in un periodo così difficile mi ha fatto vivere la situazione in maniera molto serena e con tanta voglia di trasmetterle queste cose di cui parlo.

Per un cantante come te quanto conta l’esperienza Sanremo?

L’ho voluta vivere come un’esperienza in più perché non amo fossilizzarmi sulle cose, la serata è stata ovviamente qualcosa di pazzesco, un’esperienza bellissima che mi porterò sempre dentro ma per evitare di rimanere ancorato a questo singolo evento la voglio vivere come qualcosa in più. Come per tante cose che ho fatto è come se fossi passato di qua e poi più in là ci saranno altre strade da intraprendere, ora per me il focus è sul nuovo album da poco uscito ed il festival è stato un ottimo modo per farlo arrivare a tante altre persone.

Platea vuota e distanziamento anche sul palco, come hai vissuto assieme agli altri cantanti questa situazione?

È stato un pochino triste in certi momenti ma l’emozione di stare al festival cancellava tutto, è stato particolare. Nel camerino con gli altri giovani abbiamo stretto amicizia anche se ci siamo potuti vedere poche volte, abbiamo un gruppo Whatsapp molto ironico che si chiama “i tamponati” dove parliamo e ci prendiamo in giro. Ho stretto amicizia con tutti, con Folcast ci sentiamo molto spesso quindi è stato molto bello e per me sarà emozionante ricordare anche il momento prima della serata, quello del backstage, nonostante fosse tutto così frenetico. Poi alla fine, data la situazione, ci hanno fatto andare via e siamo tornati alla realtà (ride).

Un ricordo indelebile di questo Sanremo?

La cosa che mi ha colpito di più nel processo delle semifinali è essere riuscito ad emozionare Morgan, finita la trasmissione è venuto a complimentarsi e non ci potevo credere, è stato pazzesco.

Da artista, il dover rinunciare al concerto e allo stesso tempo spingere sul digitale, è solo un ostacolo o può essere un vantaggio?

Un po’ tutte e due le cose. Pochi giorni fa ho avuto la bella notizia che ci saranno due concerti a dicembre (il 17 al Monk di Roma e il 18 al Biko di Milano) e spero poi che ne verranno altri, però chiaramente siamo sempre in balia di questo punto interrogativo. È una difficoltà perché io scrivo per fare i concerti, mi piace l’idea di guardare in faccia chi ascolta e vedere negli occhi del pubblico un pochino di emozioni quindi questa cosa manca e sicuramente è un ostacolo, certo il digitale permette di arrivare a tutti ma voglio pensare che in questo momento sia un modo per prendere tempo.

Ci vuoi parlare di “Turisti”, il tuo ultimo album?

Ci ho messo un paio d’anni a scriverlo proprio perché non riesco a mettermi “a tavolino” e aspetto siano le idee a bussare alla porta, poi c’è stato dall’inizio l’incontro con Emiliano Bonafede (il produttore artistico dell’album) che ha anche trasformato il sound di queste canzoni, nate solo con chitarra e tastiera, ma che mancavano di un certo sound contemporaneo e assieme abbiamo trovato un giusto equilibrio fra contemporaneità e “acusticità” se mi passi il termine, essendo un fan degli anni Settanta come puoi vedere dal baffetto. Per la scrittura parto quasi sempre da qualcosa di autobiografico che però sta giusto nelle prime righe, poi cerco di alterare e trasformare la realtà in qualcos’altro. Questo è il mood del disco, c’è anche una ricerca che spero di essere riuscito a comunicare ovvero non valutare come banale tutto ciò che c’è di semplice nella vita ma cercarne il bello.

Quali sono i tuoi principali ispiratori?

Quando scrivo cerco di togliermi dalla testa le cose che mi piacciono per non correre il rischio di prendere qualcosa che non è mio, sicuramente tra gli artisti che posso citare ci sono due nomi che cito spesso perché quelli che ho ascoltato di più: Vasco Rossi e Luca Carboni.

Mai come quest’anno l’indie, in tutte le sue declinazioni, è stato presente al Festival. Possiamo dire che è stato sdoganato?

Secondo me si sta sdoganando, ed è bello perché al di là dei gusti soggettivi questa musica trova un suo spazio “ufficiale” perché magari tanti che seguono il Festival da anni non sanno che esiste una scena, chiamiamola “alternativa”, che ha un suo pubblico numeroso e penso che Amadeus abbia fatto un grande lavoro nel portare tutti questi artisti da sempre considerata una nicchia in termini di numeri e artisticamente, ma che in realtà ha dimostrato e dimostra che come corrente esiste e nel bene o nel male racconta la nostra generazione.