My Right Of Frost, suoni radicali per tutti e per nessuno

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Il loro primo album, This Box Came Out of the Sky, è uscito giusto un anno fa, per la hellbonesrecords, con sede a Roma e specializzata in generi metal, alternative, stoner, industrial, elettronica. Ma tutte queste definizioni stanno strette al trio My Right Of Frost, che fa della musica radicale il proprio marchio di fabbrica. Anzi, “musica” non è nemmeno un termine esatto…

My Right Of Frost sono Francesco Marini (theremin), Andrea Lombardi (mix suoni, reading) e Raffaello Bisso (costruttore e miscelatori di strumenti musicali). Avete letto bene: scordatevi il classicone voce-chitarra-basso-batteria, perché qui siamo di fronte a performance sonore per mezzo di strumenti mitici come il theremin (uno strumento musicale che non prevede il contatto fisico dell’esecutore: non lo sapete ma lo avete sicuramente visto da qualche parte, nei film, nei libri o nell’internet) e altri strumenti autocostruiti.

Il risultato è, appunto, il suono privo di melodia e progressioni armoniche: “segni sonori”, come li definisce il gruppo, prodotti da circuiti elettronici rifunzionalizzati, che generano sequenze improvvisate, uniche e irripetibili.

Dal vivo, la presenza scenica del trio è stata paragonata (da Federico Strata su TomTom Rock) a una sala operatoria, con questi “creatori di suoni” (non so se accettino o meno la definizione di musicisti) all’opera su un piano ricoperto di aggeggi, oscillatori, circuiti, fili, casse e non so che altro.

Non è musica per tutti (o niccianamente per tutti e per nessuno) e bisogna essere preparati, non tanto a livello percettivo quanto soprattutto al livello di riferimenti storici: si potrebbe scomodare il genere noise e l’industrial, per tentare di circoscrivere in qualche modo il progetto This Box Came Out of the Sky, ma sarebbe un approccio fallace, anche se utile a suggerire ai profani una certa aria di familiarità.

Di mio, ho pensato subito ai Sunn O))), ma per quanto il loro drome metal si possa considerare “sperimentale”, “avanguardistico” et cetera, non sarebbe abbastanza:il suddetto profano, per avvicinarsi il più possibile a respirare quella “somiglianza di famiglia”, vi si dovrebbe poi immergere, con la testa e con gli orecchi. E tuttavia, armato di queste basi teoriche, il novizio si perderebbe con profitto nel suono di questi My Right Of Frost (a proposito, il loro nome deriva da un’opera di Emily Dickinson).

Non si può parlare di suono “puro”, ma si può parlare di suono nella sua più propria definizione: non aspettatevi né rumori né intona rumori (anche se i riferimenti còlti a Luigi Russolo, di riffa o di raffa, ci stanno tutti), ma performance sonore godibilissime: chi ha o ha avuto frequentazioni con certe espressioni dell’arte contemporanea sa cosa sto dicendo.

Musica elettronica? No. Noise, industrial? Nemmeno. Space rock? (a giudicare dal titolo dell’album)? Naah. Ma non pensate nemmeno all’assenza totale di suoni “amici”: ogni tanto fa capolino un piano, una voce e moltissime delle sonorità che ascolterete sarebbero da voi stesse ricondotte a strumenti musicali, magari sconosciuti, ma pur sempre…di questo mondo. E in effetti lo sono, perché per la gran parte si tratta di strumenti analogici autocostruiti.

Vedere (e ascoltare) questi My Right Of Frost è un’esperienza coinvolgente nel vero senso del termine (li potete vedere a questo link), perché coinvolge non solo le orecchie ma anche il cervello, non solo i sentimenti ma anche l’intelletto.