Galeffi, un disco a lunga conservazione

0
Settebello, il nuovo album di Galeffi
ph Giovanna Onofri

C’è perfino un arrangiamento jazz, quello contenuto in America, in Settebello, il nuovo album di Galeffi. Si tratta di una prova importante per il cantautore romano, che arriva tre anni dopo il suo debutto fulminante con Scudetto. L’amore in chiave moderna e nelle sue diverse sfaccettature è quanto l’artista racconta nei dieci brani che ne confermano il talento di unire capacità di introspezione e scrittura. Ma stavolta lo spettro musicale si allarga, tanto che lui stesso definisce questo lavoro coraggioso: “Ci sono varie sfumature sonore, dal jazz al pop, passando per il cantautorato e, visiti i tempi e l’andazzo del mercato discografico italiano in cui i dischi difficilmente sono così variegati, è una piccola vittoria che da musicista mi voglio autoconcedere”.

Scudetto è un album che ti ha fatto apprezzare molto. Il suo successo come ha condizionato il lavoro del tuo secondo disco?

Sicuramente aumentando il senso di responsabilità, sia nei miei confronti e sia di chi mi ascolta. Avevo l’ambizione di fare un disco bello che potesse durare il più possibile, cosa che oggi è un po’ strana perché la musica tende ad essere solo una cosa momentanea. Molti miei colleghi, infatti, si concentrano a pubblicare un album all’anno, io volevo discostarmi da questa moda.

Cercasi amore, America e Dove non batte il sole sono i singoli che hanno anticipato l’album. Perché la scelta è caduta su questi pezzi?

La scelta è caduta su Cercasi amore e America perché mi piaceva il fatto che fossero brani lontani tra di loro, erano gli estremi del disco. Dove non batte il sole invece perché mi sembrava l’anello di congiunzione tra i primi due singoli, mi piaceva far capire tutte le sfaccettature dell’album.

In questo disco non ci sono collaborazioni: come mai?

Per me i dischi sono sacri. Io per primo, da fan, quando vado ad ascoltare un disco di qualcuno che mi piace vorrei ascoltare solo lui, in maniera esclusiva. Sia chiaro, mi piacciono i feat, ma quando sono naturali, non mi piacciono quando sono forzati. Però sicuramente un domani mi piacerebbe fare un feat con uno dei miei idoli.

Da dove nasce la necessità di scrivere canzoni?

La necessità di scrivere canzoni nasce ormai dieci anni fa, per me è sempre stata una cosa naturale e mi sono sempre divertito. Prima era un passatempo e un hobby, poi è diventato un lavoro. Ho provato anche a fare cover e cantare canzoni degli altri, però pensavo fosse molto più utile e interessante fare le cose che pensavo io, fare roba mia è sempre stata la mia prima scelta.

Chi è, in genere, il fortunato che ascolta per primo i tuoi brani?

O la mia compagna o mio fratello. Ma forse più di tutti il mio cane, che ascolta i brani proprio mentre nascono.

E il primo che si è accorto del tuo talento chi è stato?

​A livello concreto e pratico sicuramente Antonio Sarubbi, il manager della mia etichetta (Maciste Dischi). A livello più trascendentale probabilmente Alessandro Forte e Iacopo Sinigaglia sono stati i primi a darmi un segnale. Prima ancora dell’avvicinamento di Maciste e di tutta una serie di cose successe prima dell’uscita di Scudetto, stavano aprendo uno studio e, in amicizia, mi hanno detto di voler fare un disco con me perché credevano in quello che facevo.

Mai pensato, in qualche momento, ad un piano B?

Ci penso tuttora, ho un po’ di idee ma preferisco non svelarle.

Adesso in quale fase della tua carriera ti senti?

Mi sento comunque all’inizio. Alla fine sono solo al secondo disco, ho 28 anni e ho ancora tanta voglia di fare. Non ci sto troppo pensando, quando sei dentro a questi meccanismi puoi solo cercare di migliorare e sperare che tutte le cose che fai abbiano riconoscimento. La prima cosa è cercare sempre di migliorare e fare il massimo.

Cosa ti auguri per il tuo futuro artistico?

Sicuramente vorrei che la mia carriera come cantautore fosse lunga e di fare ancora altri dieci dischi da qui a vent’anni.