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Domani 25 aprile alle 12 ognuno di noi posti sul proprio profilo Facebook la Canzone del Piave, cantandola o riprendendola da YouTube.
Marco Gervasoni sul blog di Nicola Porro ne ha per tutti i cadaveroni progressisti e dell’ANPI che impongono il 25 aprile virtuale, “con canti di Bella Ciao dai balconi e collegamenti con i vip dalle loro ville in Maremma o a Portofino”, riuscendo a strappare al Governo dell’amico Giuseppi anche una deroga affinché un esponente dell’ANPI partecipi alla cerimonia fisicamente alla cerimonia nonostante il lockdown: l’ANPI stessa e alcui sindaci PD pretendono di sfilare loro, per il 25 aprile, quando nessun altro, e sicuramente chi non la pensa come loro, può farlo.
Ma del 25 aprile così strumentalizzato a sinistra non gliene è mai fregato niente a nessuno, men che meno oggi, quando i primi e unici pensieri sono diretti alla pandemia sanitaria e a quella economica, “con imprenditori veri, operai, commercianti, lavoratori tutti, che presto saranno sul lastrico e costretti a ritirare il pacco alimentare”.
I sinistri, continua Gervasoni, hanno riesumato una festa zombie (26 anni fa la scatenarono contro il Cav, sostituito oggi da Salvini): “Sanno benissimo, i riesumatori di cadaveri del 25 aprile, che sono morti anche loro. E come gli spettri che cercano di ritornare in vita, si agitano”.
E allora se Bella Ciao è diventata l’inno del regime del lockdown alla cinese, dell’Anpi e degli italiani reclusi, occorre cantare “a bassa voce, mestamente e luttuosamente la canzone dei nostri eroi della Grande guerra, aderendo alla proposta di Ignazio La Russa e di Edoardo Sylos Labini di CulturaIdentità: ma non per contrapporla a Bella Ciao, perché “la Canzone del Piave è di tutti gli italiani, compresi quelli di sinistra o che non si sentono italiani”.
Capisco il suo essere sciacallo di bassa lega, ma mettere in relazione una canzone della Grande Guerra con il 25 Aprile c’entra come le cipolle nell’amatriciana
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