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Oggi messi alle strette dalle sanzioni energetiche imposte sotto dettatura USA (via UE) alla Russia siamo alla spasmodica ricerche di canali di approvvigionamento alternativi a quelli che fino a ieri l’ “Orso bianco” ci forniva ogni dì. Draghi e il Governo hanno fatto il giro delle sette chiese via Africa per il petrolio con Di Maio e Descalzi (ENI) e ora trattano con Gerusalemme per il gas: in quest’ultimo caso la soluzione ideale sarebbe il gasdotto Eastmed che da Israele arriva in Puglia passando per Cipro e Grecia, quindi attraverso nazioni affidabili dal punto di vista strettamente democratico, cosa che invece non si può dire nel primo caso.
Insomma, come sempre ci svegliamo chiudendo la stalla quando i buoi son già scappati: bastava muoversi prima e non ci sono scuse, perché avevamo un precedente con nome e cognome, cioè Enrico Mattei.
Proprio 73 anni fa veniva scoperto a Cortemaggiore in Emilia il primo giacimento di metano e petrolio in Europa: a Cortemaggiore, vicino a Piacenza, in una perforazione di quell’ENI allora presieduta da Enrico Mattei, si scoprì il primo giacimento profondo di metano contenente petrolio dell’Europa. Grazie all’abilità di quel manager, la scoperta ebbe un grande impatto mediatico e Cortemaggiore si ritrovò sotto l’attenzione di tutti i giornali, mentre il petrolio estratto venne utilizzato per produrre una benzina chiamata appunto Supercortemaggiore e i meno giovani fra noi se la ricorderanno bene.
La scoperta del “petrolio made in Italy” (per sostenere la sua politica imprenditoriale finanziò l’apertura di un quotidiano allora assolutamente innovativo, Il Giorno) spinse Mattei a lavorare per un grande obiettivo politico ed economico, che oggi a distanza di settant’anni suona drammaticamente attualissimo: l’autonomia energetica dell’Italia.
Ma le “sette sorelle”, come Mattei chiamò quelle compagnie petrolifere mondiali (Exxon, Mobil, Texaco, Standard oil of California, Gulf, Shell e British petroleum) che avrebbero dominato per fatturato la produzione petrolifera mondiale almeno fino alla crisi del 1973, non presero affatto bene questo modo di autonomia energetica dell’Italia.
Il prossimo 22 ottobre saranno passati 60 anni esatti dalla sua misteriosissima morte, quando il suo aereo privato esplose nel cielo sopra Bescapé in provincia di Pavia. Il velivolo del manager era partito da Catania con Mattei, il pilota Imerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale per arrivare a Milano, ma prossimo a Linate precipitò: i testimoni parlarono di “una fiammata improvvisa”.
Parve fin da subito evidente che quell’incidente non fosse un incidente ma un attentato, che tra l’altro impedì a Mattei di chiudere un accordo di produzione con l’Algeria contrastante con gli interessi delle “sette sorelle”.
Qual è la verità del caso Mattei? Pasolini, forse, nella finzione narrativa del suo romanzo incompiuto “Petrolio”, ce ne lasciò una indicando… “casa nostra”, mentre oggi il collaboratore di giustizia Maurizio Avola avrebbe svelato che a mettere la bomba sull’aereo di Mattei sarebbe stata Cosa Nostra (americana).
Di certo, con la sua politica autonoma nell’ENI Enrico Mattei aveva dato fastidio alle suddette “sette sorelle” e pure all’OAS (Organisation de l’Armée Secrète) per il sostegno all’indipendenza algerina (e ora sappiamo perché). Leggete il romanzo di Frederick Forsyth “Il giorno dello sciacallo”, pubblicato nel 1971 e da cui due anni dopo Fred Zinnemann trasse un bellissimo film.
E a proposito di film, una possibile verità, fra le tante verità, ce la diede Francesco Rosi con “Il caso Mattei” del 1972. Mentre due anni fa Federico Mosso (GOG) ci diede un suo contributo con il libro “Ho ucciso Enrico Mattei”.
Sia come sia, il padre dell’ENI ci aveva giusto settant’anni fa. Ma qualcuno gli impedì di proseguire quell’impresa che, forse, avrebbe dato all’Italia quella sovranità energetica di cui oggi ha drammaticamente bisogno. E non pare di vedere all’orizzonte un secondo Mattei.