E dopo la crisi ripartiamo coi “Bonificatori del Bel Paese”

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In questo momento di emergenza coronavirus, all’Italia servono buone narrazioni per puntare sin da subito al giorno dopo: alla ripartenza. In fondo, basta guardarsi indietro e mettersi in ascolto della tradizione. Perché la nostra Penisola ha le carte in regola per farcela nuovamente e tornare a macinare civiltà.

Ce lo ricorda Emilio Sarli, che ha appena mandato in libreria, con un timing inaspettatamente e tragicamente perfetto, Bonificatori del Bel Paese. Protagonisti, luoghi e simboli di un’epopea (Bonfirraro Editore, 2020, pagg. 198, € 20). 

Un’epopea millenaria, appunto. Che ha coinvolto gli interessi e le tante genialità del tessuto italico producendo dei risultati che ancora oggi, da tutto il mondo, ci invidiano. Le cui pagine non sono soltanto quelle scritte dagli anni Venti del secolo scorso grazie alle capacità organizzative di Arrigo Serpieri. Ma hanno radici assai più profonde.

 Bonificatori del Bel Paese, il libro di Emlio Sarli

«La storia dei bonificamenti nel nostro Paese – racconta Sarli –  è senz’altro il risultato dell’opera costante e complessa di istituzioni e di comunità per il risanamento di territori impaludati e il riscatto di plaghe idrogeologicamente dissestate; tuttavia, tante volte l’impulso bonificatorio si rinviene nella volontà o negli interessi di un governante, nelle necessità o nelle esigenze di un proprietario terriero, nella intuizione e nei saperi di un tecnico: sono loro i protagonisti, assertori di idee, progettisti di opere, redentori di terre, costruttori di fabbriche d’acqua, architetti di territori, sarti di paesaggi; costoro si sono distinti per significative imprese di risanamenti e colonizzazioni, i cui segni sono ancora oggi visibili o rintracciabili nelle impronte territoriali e il cui ricordo è ancora legato a un monumento celebrativo, a una epigrafe elogiativa, a un’altra testimonianza ancora». 

«Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori». E, perché no, di bonificatori. Benedetto da Norcia lo fu sicuramente. Non ci sarebbe stata la grande vicenda del monachesimo ora et labora senza la decisione di riconvertire l’antica acropoli di Montecassino in uno dei più grandi e irradianti luoghi di preghiera del cristianesimo occidentale. Un racconto fatto di mani giunte sì, ma indurite dai calli. Mentre gli antichi avevano determinato che il lavoro manuale fosse una faccenda per soli schiavi, la Regola ha dato dignità alla fatica umana. Spiega Sarli:  «Vi erano campi da risanare, fossi da scavare, piante e rovi da estirpare, massi da spaccare, zolle da dissodare, terreni da coltivare, fabbriche da costruire. E, sul modello di Montecassino, sorsero gli altri monasteri, quasi sempre in zone disabitate, tra valli impaludate e selve impenetrabili, nei quali si pregava e si lavorava, mentre tutt’intorno si consolidavano significativi patrimoni fondiari, risultati delle fatiche bonificatrici e frutto di acquisti, lasciti, donazioni».