L’etica del guerriero nella Bhagavad Gita

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In una società, quella contemporanea, in cui sembra prevalere l’etica mercantile dell’utile, quando non l’esaltazione di un atteggiamento buonista e remissivo, è senza dubbio interessante riscoprire i valori marziali più tradizionali.

Lo fa, per esempio, l’archeologo e antropologo Mario Polia che, per la collana Paideia di Cinabro Edizioni, pubblica il saggio L’Etica del guerriero. La via dell’azione nella Bhagavad Gita (144 pagine,16 euro).

L’Etica del guerriero. La via dell’azione nella Bhagavad Gita

Dopo aver affrontato in un precedente testo della medesima collana (Exempla) l’ideale eroico emergente dai testi classici dell’epica greca e romana, qui l’autore, spostandosi più a Oriente, indaga la prospettiva proposta dalle pagine del poema indiano che, tra le testimonianze delle antiche culture indoeuropee, fornisce il riassunto più completo dell’etica guerriera, quella del perfetto kshatriya (il combattente): la Bhagavad Gita, per l’appunto.

Un’etica fondata sull’ideale della “non azione”, che non va confusa con l’inerzia, in quanto definisce un’azione non guidata da interessi personali e offerta a un piano superiore, quello divino, nell’ottica di un’affermazione della giustizia mirante a un’unione con l’Assoluto.